La crisi della poliarchia francese riflette un grumo di contraddizioni che sono preformative della costituzione materiale dell’ultima fase della centralizzazione capitalistica in corso da circa quarant’anni su scala mondiale, dopo la deregolamentazione dei mercati finanziari e l’unificazione tra banche commerciali e banche universali, la collateralizzazione dei debiti e l’inveramento dello stockoption capitalism nel cuore stesso della formazione del profitto: le grandi corporations.
La divisione tra proprietà e controllo è stata distrutta e il capitalismo manageriale è stato sostituito dal dominante capitalismo di proprietari a leva finanziaria incontrollata, dove le banche centrali non esercitano più nessun ruolo regolativo, se non quello di favorire una economia export led che deve fondarsi sui bassi salari, scarso consumo interno e fine delle politiche della crescita keynesiana dell’economia mista: quelle politiche oggi neglette che consentirono al mondo intero di ricostruirsi dopo la Seconda guerra mondiale e di affrontare lo scontro di potenza tra due sistemi economici e politici “mortalmente” antitetici. Di cui la politica di deterrenza fu l’emblema sul piano delle relazioni internazionali.
La Francia fu l’epicentro continentale di questo sistema che la sua classe dirigente di alti funzionari contribuì in modo determinate a costruire: da Alexandre Kojève a Bernard Clappier, a Robert Marjolin, su su sino a Jean Monnet.
Il colonialismo di tipo nuovo, nord e centroafricano, che costò alla Francia e a tutta l’Europa del Sud il rischio di un colpo di Stato neo-fascista e la vita stessa di quella gigantesca figura che fu Charles de Gaulle, completava il processo di costruzione di un’Europa che doveva essere gestita in funzione antisovietica dalla regolazione managerialistica degli alti funzionari comunitari.
L’unificazione tedesca, provocata dal crollo dell’Urss, sconvolse questo disegno e dei fini di difesa della democrazia poliarchica capitalista non rimasero che quelli della regolazione, gestita dalla burocrazia celeste che ogni anno vedeva l’emergere della forza neo-cameralistica dell’élite teutonica al governo dell’Ue. Processo che generò, infine, il dominio della Merkel sull’intero processo costitutivo dell’economia regolata comunitaria, di cui l’accordo energetico con la Russia, sovietica e no, era l’asse portante.
La conseguenza di questo processo fu, via via, la sostituzione delle regole della politica con quelle della regolazione: la governance sostituì la lotta politica. Il potere neo-coloniale francese (con il franco africano e altre diavolerie dirette a ridurre il debito e a condizionare i nuovi incerti governi post e neocoloniali), nel mentre, si liquefaceva, sotto la spinta dell’inaudita capacità di manovra della nuova Russia e della rivolta islamista fondamentalista. Entrambe sostenute dalla rivoluzione teocratica iraniana e dall’attivismo di Xi Jinping, proteso a fare della Cina – di nuovo dopo cinquecento anni – una potenza marittima e non terrestre, com’era ed è, invece, la regolazione dell’Ue.
Il fallimento della tattica merkeliana e della strategia neo-regolativa macroniana sono oggi sotto gli occhi tutti. Sarebbe l’ora dei ripensamenti, ma non si odono segnali in questo senso.
Macron e la sua crisi… Sì, sua crisi, perché il partito personale è l’inveramento sul piano della dinamica parlamentare nazionale ed europea di un’ideologia che ha avuto improvvidi seguaci sotto tutti i cieli: lì dove il Parlamento senza Costituzione non produce leggi compulsive, ma approva o respinge soltanto direttive tecnocratiche della Commissione non eletta se non in seconda istanza.
La guerra imperiale russa non poteva che sgretolare questo castello di carta regolamentare, già minato dalla dominanza ideologica anti-industrialista travestita da ambientalismo politically correct d’importazione democratico-Usa.
Ora, però, la storia – sì, la storia – ritorna: Macron non può far altro che ricercare la formazione di un Governo che si regga sui partiti che aveva tentato di sgretolare e distruggere: i socialisti e i gollisti “di sinistra”. Solo un accordo tra queste forze può salvare dal crollo sociale e istituzionale la Francia, non Macron.
A queste forze, non a caso, si uniranno i centristi cattolici, che ebbero in Raymond Barre l’unico leader di una democrazia cristiana francese sempre presente nei tempi bui della Repubblica e che oggi ritorna meravigliosamente di nuovo in primo piano, proprio quando Notre Dame ritorna a illuminare il cuore di una Francia sempre troppo dimenticata, ma sempre presente e viva. Anche oggi, anche oggi con il transumano, neopagano Macron… che via via si spegne come una stella cadente.
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