La vittoria dell’incredibile Milei alle elezioni presidenziali argentine è stata assai più imprevedibile di quanto si potesse pensare. Soprattutto per quel che è successo appena chiusi i seggi, con la confluenza dei voti e del personale politico del liberale Macri già presidente e deciso a rassicurare i grandi capitali internazionali che gran parte delle disparate improvvisazioni del demolitore altro non erano che espedienti elettorali. Espedienti retorici per intercettare le volizioni elettorali della parte più colpita dalla crisi economica e morale di un’Argentina che non è più che l’ombra di se stessa, e che deve disperatamente allontanare il default e continuare a sopravvivere grazie al debito internazionale.
Le recenti elezioni olandesi recitano lo stesso programma. Certo il palcoscenico è ben diverso: è quello di un Paese “formica” che fa del bilancio austero una regola di vita. Ma che si scontra con le altre malattie del nostro tempo: quelle transizioni energetico-climatico-biologico transumanizzanti i cui costi tutti ricadono sugli ultimi e i penultimi delle società europee nazionali.
E poi vi è l’altra minaccia: quella diffusissima dalla Scandinavia e dai Paesi Bassi giù giù sino all’Italia passando per la Germania, e che si chiama immigrazioni. Immigrazioni, diciamolo una buona volta, che con le esigenze della riproduzione capitalistica non hanno nulla a che vedere proprio quando i dati demografici paiono dire il contrario e favoriscono le passioni umanitarie degli ignoranti. Ignoranti, si badi, delle leggi ferree della riproduzione capitalistica, tra cui si erge quella che i mercati del lavoro non sono autobus dove si sale confusamente cercando il posto pur che lo si trovi, pestando piedi e incrinando costole dei viaggiatori.
Il mercato del lavoro è un treno con bei vagoni, l’un dall’altro distanziati, dove possono salire solo quelli che sanno fare i mestieri a cui i singoli lavoratori sono adibiti, così ben guadagnando e ben facendo funzionare il ciclo capitalistico. Naturalmente ci si può formare, ma con disciplina, ordine, ferree regole non più di moda: si grida alla prigione, pensate un po’. Poi naturalmente ci sono anche le zattere senza sponda, su cui si salta per servire bibite e panini per le movide e per l’umanità giovanile nichilistica.
Ma dove vanno quelli che non salgono nei vagoni e sulle zattere? Delinquono, naturalmente, salvo i pochi colpiti dalla vocazione religiosa, che son sempre meno rispetto a quelli che impongono ormai nelle società più ordinate del mondo (il grande Nord europeo) di chiamare anche l’esercito nelle strade per limitare il grado di pericolosità della vita nelle metropoli. Un fenomeno che comincia a crescere a Milano, per esempio, e contro cui non si fa e non si sa far un bel nulla anche se lo si volesse…
Insomma, è chiaro che, come ci insegna sempre Franz Neumann, dove c’è angoscia c’è la destra e la destra non parlamentarizzata, ma quella antisemita violenta, quella che nasce in Francia nell’Ottocento e si propaga presto in tutto il mondo, Germania in primis.
Se questo è il vento che tira, la ripresa delle triangolazioni italo-franco-tedesche dovrebbe dismettere gli abituali panni della stabilità, che altro non fa che bloccare la crescita e aumentare il debito, e iniziare a far politica in grande e di lungo respiro.
L’Ucraina e il silenzio dell’Ue dinanzi al genocidio antisemita di Hamas, tra i mille ammiccamenti dei filocinesi e filorussi di un mondo sempre più disperato per il crollo degli Usa in ogni campo e in ogni senso, quei silenzi dovrebbero risvegliare l’Ue dal suo letargo.
Vaste programme, très très vaste.., avrebbe detto l’indimenticabile de Gaulle.
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