Cogliamo l’universale nel particolare quando c’è quell’apertura mentale capace d’abbracciare concettualmente ciò che si manifesta nei fenomeni che ci paiono a prima vista meno densi di significato di quanto, invece, essi in realtà non abbiano e questo perché disvelano trasformazioni più generali in corso nelle forze del cambiamento storico.



Così è per il “caso Cairo-Micciché”, dove il primo è l’editore in un guado di bilancio e di superamento delle difficoltà insite in quell’impresa da sempre irta di perigliosi passaggi che è la gestione e la proprietà de Il Corriere della Sera e il secondo è il personaggio emblematico delle operazioni di politica industriale della più grande e unica banca di sistema italica, Intesa San Paolo, ispirata sempre da quel grande banchiere e politico che è stato ed è Giovanni Bazoli e che ora è guidata da coloro che quel destino debbono rinnovare costi quel che costi, pena l’incrinamento di tutto l’ordito di legami creditizi e di bilanciamento di poteri politici e poliarchici che di fatto sostiene ciò che ancora rimane del sistema Italia, che converrà prima o poi ridefinire concettualmente.



Dinanzi agli impegni nei confronti della cuspide del capitale finanziario internazionale che vede Cairo impegnato in un contenzioso rilevante ma non drammatico, la grande banca di sistema si ritira e lascia colui che aveva elevato nelle sfere alte del potere italico da solo. Si dirà che non vi è nulla di nuovo e si dirà che anche lo scatenamento di forze che da questo conflitto interno all’establishment vogliono trarre plusvalore politico (vedi Renzi e l’attacco strumentale, tramite Savona ora presidente Consob, agli equilibri di governo attuali) non è una novità.

Ma la novità esiste se si guarda all’insieme del tavolo da gioco, dove si vedono in movimento altre forze che quel dominio della grande banca di sistema di dosso vogliono scrollarsi e che hanno scelto la pista di lancio della nuova impresa (non a caso sotto i non nascosti consigli di quel gruppo di intellettuali prestati all’avvocatura commerciale che un tempo avevano con sé come guida l’amico per me caro Franco Bonelli). Mi riferisco agli ultimi capitalisti italiani impegnati in una lotta di ascensione verso una libertà di azione e di comando meno vincolata al potere bancocentrico italico: ossia i Del Vecchio, i Della Valle (e forse i Caltagirone) che nel rapporto con una Mediobanca più attiva nella sua trasformazione in banca d’affari e meno dipendente dal potere asimmetrico manageriale possa soddisfare quei tentativi di sovra-nazionalizzazione che quel gruppo di capitalisti sempre emergenti e mai soddisfatti ricercano.



Le anime del capitalismo italiano esistono ancora e combattono, spesso senza guanti bianchi, e questo è un buon segno. Anche il capitalismo personale, quello che tiene duro giorno per giorno nelle sue botteghe artigiane e nei suoi aneliti trasformatori e che tanto amiamo, ebbene, di questo dovrebbe interessarsi. Sarebbe un modo per affiancarsi alle forze di un capitalismo francese intelligente e benevolente sempre più attivo in Italia (si veda per esempio le iniziative della famiglia Artaud che hanno per madrina la sposa del presidente Macron e si capirà ciò che voglio dire).

La battaglia del Corriere non può essere l’ennesima occasione perduta, ma una spinta per la ricerca di nuove vie per la sopravvivenza dell’ultimo italico capitalismo.

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