Da giovanissimi, l’esame per la libera docenza ci avrebbe consentito –  se superato – di accedere all’insegnamento universitario. Ebbene, lo studio della storia moderna era un passaggio ineludibile per quella formazione. Testo esemplare, nella loro difficoltà analitica e nella loro immensità documentaria, erano, in quel percorso formativo, le Relazioni degli Ambasciatori Veneziani, disposte dal Maggior Consiglio della Serenissima a partire dal 1296. Relazioni che venivano presentate dagli ambasciatori al termine delle loro missioni, dapprima oralmente, poi, dal 1425, obbligatoriamente per iscritto e depositate in Senato (secretia). Tali relazioni potevano venir interpretate da coloro che a esse si avvicinavano, nella loro immensa mole, solo se si aveva una conoscenza perfetta della storia non solo diplomatica europea, ma altresì economica e sociale di una miriade di Stati, di famiglie aristocratiche e di trattati tra Stati. Temi che non potevano non affascinare chiunque a esse si avvicinasse: un’occasione di formazione straordinaria. Morale, etica, e non solo storiografica.



Si apprendeva che, anche nei momenti più sanguinosi delle relazioni internazionali, negli scontri più torbidi, la conservazione della civiltà delle buone maniere che consentiva di negoziare sempre, era impersonificata dal rispetto e dall’onore che si prestavano agli ambasciatori, anche quando il patibolo lavorava e le armi macchiavano di sangue la storia.



Per questo è stupefacente ciò che è accaduto in occasione delle celebrazioni con il corpo diplomatico in Italia in occasione del 2 giugno: si è disvelato un cambio d’epoca. È stato sconvolgente apprendere che gli ambasciatori russi e bielorussi non sono stati ricevuti alla cerimonia del 2 giugno. Non avremmo mai pensato di assistere a un evento simile. E che è avvenuto, in Italia, proprio nella Festa nazionale che celebra l’assurgere della nostra Patria nel novero delle nazioni civilizzate grazie alla lotta contro il fanatismo e l’odio in qualsivoglia forma. Una tacca sull’albero della storia italiana è stata incisa: i posteri la troveranno. 



Tutto deriva da una direttiva europea, da una decisone dell’Ue a cui tutti gli Stati firmatari dei Trattati europei debbono attenersi. Così si afferma. Stupisce che tutto ciò non abbia sollevato obiezione alcuna, in primo luogo da parte dei nostri costituzionalisti che hanno assistito in beatitudine alla sfilata del nostro esercito e delle nostre persone che in ogni campo e in ogni dove onorano la patria. 

Sta accadendo un sommovimento, per via della guerra di aggressione russa all’Ucraina, che non ritroviamo in nessuna altro periodo della storia europea e mondiale. Un elemento fondante lo storico consesso internazionale mondiale si è rotto per sempre. Si è rotto definitivamente il principio del realismo nelle relazioni internazionali, principio che ha sempre condotto gli Stati e i rappresentanti più consapevoli e colti di essi fuori dalle secche più terrificanti in cui la civilizzazione umana ha rischiato di affondare ed essere travolta molte volte. Come accade oggi e non ne abbiamo piena consapevolezza. 

Quando l’Alberti, da grande erudito e filologo, pubblicò le relazioni seicentesche degli ambasciatori della Serenissima, nessuno avrebbe mai previsto che si sarebbero mai compiuti, in futuro, errori simili. Chi lo avesse predetto si sarebbe così tanto coperto di ridicolo da doversi chiudere in casa per mesi. Invece oggi non si tratta di ridicolo: nessuno può apprezzare la comicità degli eventi perché quello a cui assistiamo non è una commedia dell’arte, ma una realtà e gli attori sono reali e in carne e ossa ed esercitano il potere, ossia il dovere della responsabilità.

E nessuno avrebbe mai immaginato che si sarebbe addivenuti anche alle misure economiche per vincere le guerre. Sì, assistiamo anche a questo. E nei giochi delle relazioni interstatali proibiamo il commercio del petrolio russo per mare, ma, pensate un po’, non quello per oleodotto, come se questo metodo non fosse il più diffuso e il più auspicabile per i pericoli che altrimenti si correrebbero di sversamento di una materia prima assai dannosa per l’ambiente. Ma poi ci accorgiamo che il problema è superare l’opposizione ungherese, nazione che sbocco al mare non ha. Altro che diplomazia… 

E infatti trasecoliamo. Non si tratta più di relazione diplomatica, di trattativa, ma di ricatto e di scambio… e di disarmante ignoranza, oppure di mascheramento, fingendo di dimenticare o di far dimenticare che sanzioni simili non possono che far salire il prezzo dell’oil, tanto più quando esso è formato secondo le regole dei futures ossia delle aspettative borsistiche e non sugli scambi fisici. 

Insomma, par di sognare. Ma invece è un incubo. Nessun ambasciatore veneziano avrebbe mai compiuto atti del genere. Del resto, se non si fosse dinanzi al reale esercitarsi del moderno potere europeo si penserebbe di assistere a una commedia dell’arte. Ma così non è. Non è così.

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