80“Adesso in Europa non c’è la possibilità di sostituire il gas russo”. Lo ha detto il presidente Vladimir Putin citato dall’agenzia Interfax. “Gli attacchi dei partner europei sul rifiuto delle forniture di risorse energetiche russe – ha aggiunto – destabilizzano la situazione e fanno salire i prezzi”. Putin ha quindi chiesto al suo Governo di reindirizzare l’export di energia dai Paesi occidentali e dall’Europa all’Asia e in generale verso il Sud e l’Est e di preparare le infrastrutture per rendere possibile questo processo. Una nuova fase degli equilibri di potenza mondiale sta per aprirsi. Piena di incognite.
Ma la dichiarazione più eloquente di tale nuova fase è in una analisi di Sergei Karaganov su Russia Today del 23 febbraio 2022. Karaganov è il più intelligente e colto allievo di Primakov (1929-2015), presidente onorario del Consiglio russo di politica estera e di difesa (Svop) e teorico del neonazionalismo “grande russo”. La sua analisi è interessante non solo per rendere esplicito l’orientamento aggressivo degli “homines novi” oggi raccolti attorno a Putin, ma anche per rivelare i contrasti che si agitano nel loro seno, con diverse ipotesi di sviluppo strategico di lungo periodo. Per Karaganov, infatti, la “dottrina Putin” altro non è che lo sviluppo e il culmine delle “quattro fasi” della politica estera russa che si sono succedute dopo la caduta dell’Urss.
La prima è stata quella degli anni Novanta del Novecento, gli anni della debolezza e della delusione nei confronti di un Occidente predatore; la seconda è stata quella dei primi anni duemila, con la “ripresa” di una “Russia potenza mondiale”; la terza fase, degli anni dieci del duemila, di continuità e di crescita soprattutto rispetto alla potenza militare; la quarta fase, infine, quella presente, è caratterizzata da ciò che si definisce “la distruzione costruttiva” dell’Occidente e dei suoi modelli di vita; “distruzione” da effettuarsi utilizzando “vari strumenti di politica estera, compresi quelli militari per stabilire alcune linee rosse invalicabili”, superate le quali la Russia era pronta “ad aumentare la pressione politico-militare, psicologica e persino tecnico-militare” per far mutare atteggiamento all’Occidente, “senza temere l’escalation militare”.
Karaganov richiama esemplarmente la guerra con la Svezia, il ruolo di Pietro il Grande e le guerre e le vittorie contro Napoleone e Hitler. La diversità del pensiero di Karaganov, come si evinceva, del resto, anche dai suoi più rilevanti lavori di analisi, risiedeva e risiede nel sottolineare come l’orizzonte decisivo per la “nuova Russia” sia quello asiatico, piuttosto che quello europeo, guardando a Est, alla Cina, all’India e al Sud-Est Asiatico e diffidando della proficuità dell’impegno nei confronti di un “sistema di sicurezza atlantico (ormai) pericolosamente obsoleto”.
L’errore di valutazione è chiaro, ma rimane importante ciò che si evince da questo pensiero ormai orientato all’aggressione e alla divisione dall’Occidente con ogni mezzo. L’aggressione russa all’Ucraina ha come sfondo e come forze motrici codesta situazione culturale e morale in primo luogo. Di questo si deve tener conto in somma istanza.
È in questo contesto culturale che Putin vuole la neutralizzazione dell’Ucraina e la non contendibilità del Mar Nero. Ha quindi bisogno di controllare il Donbass, Odessa e la Crimea. Ne ha bisogno perché la Russia si pensa come potenza euroasiatica, dal Pacifico fino a quel lago dell’Atlantico che è il Mediterraneo. È presente in Siria e condivide il dominio della Libia dopo che, con l’assassinio di Gheddafi, lo Stato italiano è stato espulso dal Paese. L’invasione dell’Ucraina non è una mossa avventata: è coerente con una strategia che tuttavia viene ora applicata in modo “avventuristico”.
Con l’invasione Putin si è completamente schierato dalla parte del torto, ma se si vuole percorrere la via delle trattative l’obiettivo della neutralità di Kiev dovrà essergli concesso.
Dobbiamo prevedere anni difficili. E comprendere come agire di conseguenza, come Occidente. Se esistesse, l’Occidente…
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