Il 2023 sarà un anno sovradeterminato dalla situazione cinese, ovvero dal disvelamento davanti al mondo del vero assetto strutturale e sociopolitico del sistema di dominio dell’Impero di mezzo. La storia millenaria della Cina imperiale ha avuto passaggi storici simili a quelli di questo mezzo secolo: il sistema di drenaggio fiscale del centro nei confronti della periferia si sgretola per eccesso di centralizzazione e la guerra tra i signori della guerra si scatena portando l’Impero di mezzo alla crisi irreversibile della dinastia.



Lo stesso accade oggi: il Covid che è stato impossibile sconfiggere perché l’industria farmaceutica è primitiva, incapace di produrre un vaccino se non sottraendo conoscenze estere attraverso il sistema della diaspora degli studenti e degli accademici all’estero oppure ospitati sontuosamente in patria, provoca la crisi fiscale. Perché? Ma perché gran parte delle entrate fiscali risalgono alla vendita della terra ai comuni che si costituiscono in enti pubblici economici e – come dimostrò Luigi Tomba nei suoi fondamentali studi – forniscono in tal modo ai poteri centrali la possibilità di costruire le strutture dell’economia militare e le infrastrutture.



La centralizzazione neo-maoista di Xi Jinping ha sgretolato questo rapporto di bilanciamento tra centro e periferia con la ripresa dell’eliminazione di massa della nomenclatura Dengxiaopiniana e la conseguente crisi economica che il lockdown ha solo esacerbato ma non creato.

Di qui la crisi economica mondiale, che avanza con gli stivali delle sette leghe perché si intreccia con la determinazione tutta politica bipartisan del sistema militar industriale statunitense di ridurre la Germania “a campo di patate”, come alcuni diplomatici Usa intendevano fare quando la fine della Seconda guerra mondiale si approssimava. Poi la vittoria di Stalin a Berlino e a Praga cambiò le sorti del mondo e il mondo tedesco divenne l’antemurale della guerra civile europea. Ma lo spazio economico tedesco non poteva mutare. Non mutò e non muta: dall’Elba va fino agli Urali e di lì sino a Pechino e questa minaccia indo-pacifica per via economica di una potenza di terra è una variante del sistema di potenza che un impero come quello Usa non può sopportare.



Di qui l’inasprirsi della guerra tra gli slavi del sud, che Putin ha provocato in un delirio che riflette lo sfacelo in cui sta precipitando la poliarchia oligarchica russa. Anche qui le costanti millenarie si affollano.

In tutto questo l’Italia si trova fuori quadro: il suo destino in questo gioco al massacro non può che essere il Mediterraneo e l’Africa. Invece i nostri doveri atlantici ci portano a schierare migliaia di militari in Finlandia in una distonia preoccupante.

Insomma, c è un gran lavoro da fare. Il nuovo italico Governo deve confermare alleanze e resilienze ma con la consapevolezza che dobbiamo cambiare passo. Gli ultimi trent’anni sono stati drammaticamente disastrosi e il nostro insieme degli interessi prevalenti è stato calpestato: dall’industria alla finanza alle infrastrutture.

Essere una media potenza non condanna alla subordinazione. La storia insegna che i vassalli fedeli sono la forza degli imperatori e non una minaccia. E questo perché hanno la schiena diritta.

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