“Una volta che gli equilibri di potere americani si saranno definitivamente stabilizzati, sarà solo questione di tempo perché l’anglosfera riprenda il controllo del piccolo gigante di Terra, e riduca a ragione uno strumento – in realtà un esperimento – di governo regionale sfuggito di mano ai suoi creatori e che è stato venduto alle popolazioni di questa parte di Eurasia come ‘sogno europeo’, infarcendolo di richiami a Kant, alla ‘pace perpetua’, all’ideologia dei diritti in impossibile, perenne espansione, all’economia ‘in equilibrio’ dell’ordoliberismo, e ad altre amenità del genere”.



Questa frase di Alessandro Mangia inquadra bene ciò che sta accadendo in Europa con il gran strepitare sul Recovery fund. Non vi è dubbio che la crisi pandemica ha provocato un problema simile a quello che si pose dinanzi alle potenze europee all’inizio del secolo XVIII, quando la morte senza eredi di Carlo II di Borbone scatenò il conflitto per l’ascesa al regno di Spagna. Filippo di Borbone, pronipote di Luigi XIV, si insediò senza tener conti delle proteste delle altre corone, ma ciò scatenò le reazioni dell’Imperatore Leopoldo I, del Regno Unito e delle Provincie Unite che, dopo essersi riuniti all’Aja nel 1702, dichiararono guerra sia alla Francia che alla Spagna, appoggiate dalla Baviera, dal Portogallo e dal Duca di Savoia. L’Inghilterra, la casa d’Austria e i Paesi Bassi raggiunsero il loro scopo impedendo la riunificazione sotto una sola corona dei regni di Spagna e di Francia, consentendo così all’Inghilterra, che sconfisse con i suoi alleati i Borbone, di impossessarsi delle colonie francesi nell’America del Nord e ai duchi di Savoia di giungere alla proclamazione reale.



Ma il problema fondamentale fu il fatto che si impose in tal modo il principio della permanenza di una entente cordiale che impedì sino alla Prima guerra mondiale l’ascesa al domino europeo di una sola casa regnante, di una sola grande potenza: iniziava il “concerto delle nazioni”, ciò che oggi manca tragicamente in Europa, sostituito dal duopolio franco-tedesco e dai rassemblamenti erratici degli ex Stati sottoposti al dominio sovietico. Non è un caso che oggi il dominio repubblicano tedesco della Cancelliera Merkel, la Cancelliera venuta dall’Est, sull’Europa, un dominio senza fasti nobiliari ma con quella modesta casalinga crudeltà della partita doppia che si respira nei romanzi di le Carré, volge alla fine ed è proprio in questo momento che la Francia vuol affermare che anche oggi, tre secoli dopo le guerre di successione spagnola, non vi dovrà essere una sola potenza dominante europea.



Così il Presidente Bimbo-Meccanico Macron, neogollista perfetto e dimidiato, si è inventato – con la diplomazia più intelligente e crudele del mondo – il Recovery fund. Un piano che non esiste da nessuna parte – almeno sino a oggi – se non negli annunci. È un’altra delle favole di cui parla così bene Alessandro Mangia nei suoi splendidi lavori. Se si legge, infatti, il Financial Times di ieri, 22 maggio 2020, e l’articolo congiunto di ben tre giornalisti, pensate un po’, Victor Mallet a Parigi, Guy Chazan da Berlino e Sam Fleming da Bruxelles, si parla espressamente di common borrowing che anche all’istituto di lingue Berlitz si traduce come debito in comune o più eurocraticamente con mutualizzazione del debito.

Del resto il comunicato dell’Eliseo di lunedì scorso – che la stampa francese pubblica con discrezione – parlava espressamente di raggiungimento dell’obbiettivo degli Eurobond, ma altrettanto sommessamente, ma chiaramente, diceva che non si poteva dare all’operazione appena impostata il nome di Eurobond perché nel 2012, pensate che memoria, la Cancelliera Merkel si era dichiarata contraria a essi e quindi bisognava inventarsi un altro termine. E si sottolineava che la proposta era franco–tedesca e che i due ministri dell’Economia tedesco e francese stavano lavorando insieme al contenuto tecnico della proposta.

Sempre di debito si parlerà, dunque. Basta saperlo e sapere che le regole del Trattato di Maastricht ci sono tutte e funzionano, Corte Costituzionale tedesca vigliante, in accordo con il Governo tedesco. E si continua quindi a non fare investimenti diretti in conto capitale ma condizionati dal Trattato e a ciò che ne è derivato, con tutte le conseguenze del caso. Quindi nulla di nuovo sotto il sole se non la riproposizione di una vicenda storica plurisecolare.

Ma la differenza c’è. La differenza è tutta tedesca. Significa che il lato bavarese dell’economia tedesca – che è connesso fortemente con quello italiano del nord e quello spagnolo del sud – non può non cercare una soluzione intermedia tra investire senza produrre nuovo debito e investire con debito a scoppio ritardato, come è nella sostanza sia con il Mes sia con questo nuovo Recovery fund. Esso altro non è che una proposta di diplomazia europea che si inserisce bene nel solco della sentenza della Corte costituzionale tedesca e che è perfettamente in linea con ciò che è scaturito da Maastricht e seguenti sino al 2012, con il Tfue in cui risiede l’unica carta che si potrebbe giocare in senso anti-pandemico: il ricorso all’art. 122 che evoca gli eventi catastrofici, dinanzi ai quali le regole ordoliberiste che affermano la natura liberista dispiegata dei trattati interstatali che reggono l’Europa, potrebbero essere messe a tacere. Basterebbe un nuovo trattato di un articolo solo che evocando quell’articolo del Tfue ne dichiarasse l’immediata applicazione.

Ah! bei tempi, quelli dell’aristocrazia e delle sue famiglie secolari: erano circondate di consiglieri pensanti. Ricordate Erasmo e L’educazione del principe cristiano? Ora si viene dal Grande Fratello e si diviene consigliere di principi o di cavalieri… del lavoro. Povera Europa…

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