Le dimissioni del Governatore della Bundesbank, l’ordoliberista Weidmann, sono la tessera di un mosaico complesso e affascinante che ci consente di riprendere uno dei fili essenziali per l’analisi delle relazioni internazionali future. Superando, così, il velo che la concezione liberale di tali relazioni distende sulla vera forma del mondo degli Stati moderni e che solo una concezione realistica delle relazioni tra Stati può intendere veramente.
Notiamo per intanto che lasciano stupefatti le dimissioni del teutonico governatore. Ma se le banche centrali sono indipendenti, perché dimettersi, allorquando giunge un nuovo Governo? Certo, esso si profila proteso alla ridiscussione della politica economica della Germania e quindi dell’Ue per decisione di due delle sue componenti (la socialdemocratica e la “verde”): l’ortodossia della politica economica export lead forse sarà attenuata o financo posta in discussione. Questa politica, con la stessa Germania, ha stremato negli anni merkeliani tutta l’Europa e preoccupato costantemente gli Usa, anch’essi trascinati nella deflazione secolare dalla politica dei bassi salari e dei bassi profitti, a cui la Germania obbliga i suoi fornitori per meglio affrontare il commercio internazionale. Ed è noto che la visione realistica delle relazioni internazionali non può non considerare il commercio mondiale come una delle coordinate essenziali per comprendere, appunto, le relazioni tra Stati.
Ciò detto non stupisce, allora, che in questa fase difficile delle relazioni della Germania con se stessa – e con tutti gli Stati aderenti all’Ue – i rapporti tra Italia e Francia siano destinati a emergere con sempre più forza in quella che sarà la revisione dei Trattati europei che si delinea. L’Italia di Draghi svolge così una sua funzione diplomatica decisiva anche nell’Ue: essa è incardinata nelle relazioni personali tra Draghi e l’establishment Usa.
Dopo aver svolto la funzione delicatissima di arginare la pressione teutonica dalla tolda della Bce negli anni scorsi, Draghi è oggi chiamato a svolgere un altro ruolo. Un ruolo per lui inconsueto, ma altrettanto importante: arginare le relazioni tra Germania e Cina creando in Europa un antimurale filo-atlantico costruendo – miracoli delle diplomazia e della necessità di cambiamento che promana dalla trasformazione dei rapporti di forza politici – un legame ancora più stretto di quanto già non sia tra Italia e Francia. Ci sono naturalmente già i tutti presupposti di ciò, costruiti dal momento stesso dell’annessione degli antichi Stati italiani al Regno di Sardegna, come ci insegna la storia d’Italia con la guerra di Crimea, prima, e la presa di Roma, poi. Negli ultimi anni queste relazioni hanno avuto un’accelerazione straordinaria: prima con i governi Prodi, ultimamente con l’invio in Italia di Enrico Letta, addirittura come Segretario di un partito nazionale.
Ma il punto decisivo pare essere ciò che sarà, prima o poi, grazie a un’elaborazione segreta, il Trattato detto del Quirinale, ossia il Trattato tra Francia e Italia. Trattato la cui stesura è assegnata a privati cittadini, certo ex ministri, professionisti, ma non alle aule parlamentari… come si converrebbe, del resto, a un trattato che pare giungere alla sua conclusione proprio quando in Italia è al colmo la disgregazione dei partiti e la trasformazione della democrazia parlamentare con esiti ancora imprevedibili.
È in questo contesto che si apre una nuova pagina della storia della difficile relazione tra l’Ue e gli Usa, ossia tra gli Stati dominanti in Europa – Francia e Germania, com’è noto – e gli Usa. L’atlantismo tedesco è sempre stato bilanciato dal profilo filo-cinese delle relazioni economiche della Germania, la Nato serve per garantire il contenimento della Russia nei confronti degli Stati vassalli dell’economia tedesca e non per altro: la storia si ripete.
Oggi il trattato italo-francese ha un ruolo diverso dal passato. Dopo l’offesa maldestra e inutile inferta alla Francia dagli Usa escludendo dall’accordo indopacifico tra Usa, Uk e Australia l’ultima nazione con una visione e un ruolo imperiale esistente in Europa (la Francia, appunto, che ha la diplomazia e i servizi segreti migliori del mondo), l’Italia è chiamata a svolgere un ruolo di pontiere tra la Francia e gli Usa. La Francia non può essere lasciata ai rancori sulla Senna e al rischio che il declino macroniano trascini con sé il cuore culturale dell’Europa e del mondo. È vero, come scriveva Nicolas Baverez nel suo libro tanto importante, La France qui tombe, esiste e come il pericolo del declino francese, ma anche nel declino la Francia continua a esercitare un ruolo decisivo nel futuro europeo e mondiale. Non è un caso che si approssimi un nuovo incontro tra Biden e Draghi: sarà, io credo, decisivo per definire i lineamenti di questo nuovo quadro delle relazioni internazionali euro-transatlantiche. Se questo nuovo assetto internazionale avrà come suo tassello fondamentale l’ascesa al Quirinale dello stesso Draghi, la nuova configurazione delle relazioni di potenza europee e di queste ultime con gli Usa avrà una sistemazione idonea per affrontare le sfide della lotta contro l’egemonia cinese che attendono il pianeta.
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