Nella gloriosa serie di documenti diplomatici dedicata alle Relazioni degli ambasciatori veneti al Senato, raccolte da Eugenio Alberi e in primis pubblicate a Cipro nel 1860 e che nel 2012 le altrettanto gloriose edizioni della Cambridge University Press diedero nuovamente alle stampe, si poteva leggere, alla pagina 1053 del dodicesimo volume, che Lorenzo Priuli, scrivendo appunto al Senato nel 1582, così affermava: “La emulazione grande e naturale che è tra questi due Regni di Francia e di Spagna è causa che il Re di Francia intertenga amicizia del Turco, il quale sa essere nemico irreconciliabile del Re di Spagna, per prevalersi delle forze turchesche del mare”.
Si spiega così perché oggi dopo la Seconda guerra mondiale e la contendibilità del Mediterraneo seguita al ritiro (non all’abbandono) di potenza Usa in quel lago atlantico, di nuovo, la Marine Royale mira a riprendere un dominio sempre meno cogestito, negoziato, certo, ma in posizione dominante. Come fu da quando Richelieu, all’inizio del Seicento, iniziò a ricostruirla, anzi a costruirla. La Francia, in seguito al ritiro del Regno Unito avvenuto dopo il 1963, contende al “turco”, per dirla coi veneziani ambasciatori cinquecenteschi, il dominio mediterraneo. Questione non solo di potenza, ma anche di diritto marittimo e di emersione nell’ultimo quarantennio di un altro storico, millenario, protagonista della contendibilità mediterranea: l’Egitto. Non a caso il presidente Macron ha donato la legion d’honneur al presidente al-Sisi in una cerimonia fastosa tenutasi all’Eliseo e celata ai mass media. In Italia si celebrava un’altra legion d’honneur al dottor Vincenzo Boccia già presidente di Confindustria e fautore dei buoni rapporti tra Medef (Confindustria francese) e Confindustria italica.
Ma se guardiamo fuori da palazzo Farnese ecco che scopriamo che la marina egiziana ha condotto esercitazioni militari congiunte con la marina francese nel Mediterraneo il 25 luglio a cui partecipavano la fregata egiziana “Long Live Egypt” e la fregata francese “Aconit”: “Come parte del piano del Comando Generale delle Forze Armate per migliorare il livello di addestramento e scambiare esperienze con le forze militari di un Paese amico e fratello”, si leggeva in un comunicato dello stato maggiore egiziano, “le esercitazioni comprendono diverse attività di natura professionale che si concentrano sulla tattica di cooperazione durante l’esecuzione di missioni di combattimento in mare contro forze navali ostili, insieme all’utilizzo di munizioni contro obiettivi aerei e di terra. Le esercitazioni includono anche l’esecuzione di battaglie con aeromobili marini”.
La minaccia dell’uso della forza è ciò che caratterizza il nuovo Mediterraneo contendibile, in cui la forza marittima da guerra francese segna un ritorno spettacolare con l’Egitto come partner privilegiato. Nel novembre del 2019, del resto, l’Egitto ha condotto una serie di esercitazioni militari congiunte con la Grecia e Cipro, mentre nel luglio di quest’anno le forze armate del Cairo hanno effettuato una simulazione su larga scala nella regione occidentale al confine con la Libia, con un addestramento per l’aviazione volto ad affrontare mercenari di eserciti “irregolari”, oltre a colpire le loro basi e centri logistici.
Tali esercitazioni congiunte sono il risultato strategico di crescenti tensioni tra la Turchia e l’Egitto, la Grecia e Cipro su una serie di questioni tra cui il conflitto in Libia, le rivendicazioni in competizione per i diritti di esplorazione di idrocarburi nel Mediterraneo orientale e le ambizioni navali turche. La Francia si pone come capofila di queste operazione.
L’atteggiamento italiano è sconcertante. La Francia deve essere un nostro alleato negoziale pur nella posizione indubbiamente di subordinazione in cui ci troviamo nei suoi confronti. La Francia si è impegnata a sostenere Grecia e Cipro nelle loro controversie con la Turchia nel Mediterraneo orientale, causate dall’esplorazione delle riserve di gas nella regione. Tensioni acuitesi sempre più da quando Ankara ha firmato un memorandum d’intesa con la Libia, lo scorso 27 novembre, a cui Atene si è opposta in quanto ritiene che questo ignori le acque territoriali intorno a diverse delle proprie isole.
Egitto e Turchia supportano schieramenti opposti. Ankara sostiene il governo di Tripoli, riconosciuto dalle Nazioni Unite. Il Cairo sostiene l’Esercito nazionale libico (Lna) del generale Khalifa Haftar, appoggiato in ogni modo da Francia, Russia, Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita. La situazione sta precipitando soprattutto dopo le dimissioni di Ghassan Salamé da inviato speciale delle Nazioni Unite per la Libia. Le fragili speranze riposte nella Conferenza di Berlino si stanno rapidamente sgretolando. La Conferenza di Berlino, del resto, come il processo di Astana sulla Siria prima di essa, non era altro che l’accettazione ufficiale che gli interessi dei “meddlers” sono divenuti più rilevanti di quelli degli attori locali per la ricerca di una soluzione duratura.
L’intervento straniero ha assunto in ogni crisi, e soprattutto in Libia, un ruolo determinante. In questo contesto rimane decisivo ciò che accadde a Berlino nel gennaio del 2020. La Conferenza sulla Libia, convocata su invito della cancelliera Merkel, riunì i governi di Algeria, Cina, Egitto, Francia, Germania, Italia, Russia, Turchia, Repubblica del Congo, Emirati Arabi Uniti, Regno Unito e Stati Uniti d’America, insieme agli Alti Rappresentanti delle Nazioni Unite, l’Unione Africana, l’Unione Europea e la Lega degli Stati Arabi. L’Italia ne uscì completamente declassata nel suo ruolo storico-strategico per la riluttanza governativa a superare un approccio subalterno all’internazionalismo imbelle sponsorizzato dall’Onu e che maschera il conflitto di potenza a cui l’Italia rinuncia a partecipare intraprendendo politiche energiche a difesa dell’interesse nazionale, con le cause immediate della nostra perdita di rilevanza nella gestione del conflitto che sono dinanzi agli occhi di tutti purché si sappia vedere e non si sia accecati da una retorica che spesso nasconde una subalternità non solo ideologica alle potenze estere che, com’è ormai noto, si spartiscono i brandelli dei nostri caciqui che reggono i caucus governativi. Un Governo spartitorio (per riprendere una definizione di Giuliano Amato in un libro famoso della fine degli anni Settanta del Novecento ma sempre attualissima).
La nuova Presidenza Biden cambierà questa subalternità ricercata dalla stessa Italia più che imposta a essa, mancando anche una stessa base stabile su cui si possa fondare una pressione esterna sullo stesso Governo, tanto esso è caratterizzato da faglie e da frattali instabili e dallo sfasciume pendulo, per dirla con il sempre attuale Giustino Fortunato?
Se si guarda alla composizione del nuovo esecutivo Usa, la presenza delle forze interventiste che hanno già esautorato l’Italia dalla Libia più di quanto non fosse prima accaduto e la necessaria attenzione che gli Usa di Biden porranno alla presenza della Turchia nella Nato, fanno intravedere che la presenza Usa altro non potrà fare che aggravare i conflitti con la Francia, oltre a quelli già in corso con la Germania, e rendere ancora più subalterna la presenza italiana, con conseguenze che possiamo ben prevedere, ma che sono sicuramente più infauste di quelle che sinora s’era immaginato.