Il presidente francese Emmanuel Macron ha nominato Jean Castex nuovo primo ministro, dopo le dimissioni di Edouard Philippe, eletto sindaco di Le Havre, dove ha sconfitto il suo concorrente: uno dei leader storici dei comunisti francesi, Jean-Paul Lecoq. Una vittoria non facile e al secondo turno, che segnala tutta la debolezza del President Synthétique. Castex è sindaco di Prades, sui Pirenei orientali (eletto con il partito Les Républicains), e lo scorso aprile era stato scelto per gestire la cosiddetta fase 2 dopo la fine del lockdown. Viene dalle élites francesi pour excellence. Delegato interministeriale per le Olimpiadi di Parigi 2024, nominato da Macron, oltre che presidente dell’Agenzia nazionale dello Sport, si è diplomato a Sciences Po ed è stato capo di gabinetto di Xavier Bertrand ai tempi in cui questi era ministro della Salute del Governo Sarkozy.



Non si tratta solo di rilevare la rapidità del cambiamento politico apicale che è tipico dei regimi presidenzialisti. Si tratta di poter disporre di élite in grado di rispondere alla verticalità del potere con una circolazione delle classi politiche che fornisca sempre uomini e donne all’altezza dei compiti a cui sono chiamati. I percorsi curriculari gestiti da istituzioni formative secolari sostituiscono in tal modo i partiti e consentono anche a dei disgregatori pour excellence dei partiti, qual è stato ed è Macron, di non trovare intoppi nella circolazione delle classi politiche e nello spoil system.



In Italia non abbiano nulla di tutto ciò. Né le istituzioni secolari, né i partiti politici rank and files sul modello nordamericano e tedesco teorizzati da Ostrogorsky e da Loewi. Dobbiamo ricorrere a compagnie di ventura governate dall’esterno o da “prodotti sintetici” fatti in casa in fretta e furia che generalmente non danno i frutti sperati. Il periodo che l’Italia attraversa è uno di quelli in cui da trent’anni a questa parte una tale mancanza è sempre più ricorrente. La disgregazione delle mucillagini peristaltiche e dei caucus caciquistici con fieles e amigos divorati dalla bramosia e dalla sola capacità di comunicare se stessi, invece che la voce e la praxi di comunità, in cui, del resto, non hanno mai vissuto, è assordante.



La sortita in campo aperto di Mario Monti su Il Corriere della Sera sarà ricordata come decisiva – in questa situazione – dagli analisti futuri. Quegli analisti scevri da pregiudizi, ma certo sensibilissimi nell’interpretare le élite internazionali globaliste grazie a esperienze di più e più lustri nei cieli della pace kantiana e della circolazione delle merci senza dazi. In quella sortita misurata e chiarissima – e che non ha suscitato l’attenzione che meritava e merita – si auspicava un riallineamento delle forze definite semplicisticamente populiste o sovraniste verso un centro, un centro politico “responsabile” già auspicato da Silvio Berlusconi e da Carlo Calenda e che ha già il suo leader in Pier Ferdinando Casini e il suo prossimo presidente della Repubblica in Walter Veltroni. Una sortita, lo ripeto, che ha sorpreso molti. Quelli che non si rendono conto che le elezioni nordamericane si avvicinano con un Trump in caduta libera, un Biden che sarà, anche se vittorioso, un presidente debolissimo per l’età e la salute. E decisivo sarà sempre più l’establishment del mondo militar–industriale. Esso ha sostituito, con Trump, per influenza e via via, quello finanziario, con i figuranti famigliari dei Bush e in primis dei Clinton. Un mondo diviso sulla questione cinese, e che dall’indecisione sta uscendo, avendo anche in questo caso via via della Cina compreso tutta la pericolosità. La pandemia ha senza dubbio avuto in ciò il suo ruolo.

Così terribile, la pandemia, che ha provocato il serrare i ranghi delle élite nordamericane, che da Biden a Trump si sono ritrovate – pur divise su tutto – unite, invece, nel prepararsi a un Roll back anti-cinese: a una nuova Guerra fredda che dovrà inevitabilmente portare a una entente cordiale con la Russia e l’India, oltreché con lo storico alleato giapponese che non deve più essere portato alla ragione come fu nel 1985 con l’ accordo del Plaza sulla svalutazione dello yen. “Très vaste programme”, per dirla con il generale De Gaulle.

Esso non può che fondarsi su nuovi investimenti massivi nell’aviazione e nella marina rispetto alle truppe di terra. E questo spiega la freddezza Usa nei confronti della Nato e i conflitti che ciò produce in seno alle nazioni europee. La Germania continua imperterrita a proporre la sua leadership non solo europea ma mondiale alleandosi sempre più strettamente con la Cina, nonostante le spinte al cambiamento sempre più forti al suo interno e che la Merkel implacabilmente e ciecamente respinge senza comprenderne la rilevanza strategica mondiale. E questo mentre il Lago Atlantico Mediterraneo è in fiamme e si sfiora la guerra in Libia. È questa la questione centrale. Già nella somalizzazione della Siria gli Usa hanno sperimentato tutto il disastro del muoversi tardivamente e non con quell’immediata prontezza di mezzi necessaria.

In poche parole, con la Germania che è tornata al centro del potere europeo, dividendosi di fatto dalle élite francesi (di cui Macron non ha più la fiducia dopo i disastri elettorali) e che rifiutano il Mes perché un nuovo gollismo è alle porte e ben più deciso di quello macroniano, guidato dai capi di stato maggiore in una misura tale di cui ancora non abbiamo contezza. Ebbene, in questo contesto geopolitico, il lago atlantico del Mediterraneo deve ritornare a essere almeno meno contendibile di quanto ora non sia.

L’unico modo per farlo sarà la politica di potenza, a iniziare dalla messa in sicurezza dell’Italia. La Sicilia è fondamentale per ciò che si prepara e quindi tutta l’Italia lo è altrettanto, sino ad Aviano, passando per Roma e per il Colle. La minaccia di una guerra di deterrenza dovrà essere tale da soffocare tutte le altre guerre locali.

Haftar ha fallito. Ora non si deve più fallire. Sempre una guerra convenzionale, certo, ma che rimetta al sicuro il Mediterraneo e l’Italia per il lungo tempo necessario per una rifondazione dell’impero nordamericano, sempre più indispensabile per gli Usa e per tutto il mondo.

I giacimenti energetici dei deserti sono decisivi. Giacimenti che la favola dello shale gas e dello shale oil (che tra dieci anni non esisteranno più perché tutti i reservoir rocciosi saranno depletati ossia finiranno) non riesce a oscurare nella loro importanza geostrategica. Non solo per gli Usa, ma anche per l’Europa.

La Germania dovrà trarne una lezione come la Turchia e la Russia, riavvicinandosi agli Usa. L’ultima stagione della signora Merkel sarà assai tumultuosa e tutta diversa dalla politica del giorno per giorno e da quella tattica senza strategia alcuna che ha estenuato l’Europa e l’ha impiombata nella deflazione secolare, oltre che in una pandemia da cui ci si poteva meglio difendere se non si fosse creduto alle informazioni cinesi false e tremendamente dannose.

Anche di questo si dovrà fare la storia. Se essa nulla insegna alle genti, forse potrà alla genti insegnare qualcosa la storiografia.