La parola più appropriata per definire la situazione italica è una sola: caos. Ma caos incardinato in una gabbia d’acciaio. E tale caos è il risultato della protervia con la quale è stato portato avanti – a partire dai tristi anni del dominio esercitato su segmenti della società civile e di quella politica – il sistema di interessi nazionale e sovranazionale che ha avuto trai suoi esponenti di spicco il presidente Napolitano con la torsione autoritaria della Costituzione repubblicana che ne è conseguita.



Nella situazione disgregata su scala internazionale che seguirà al ritiro Usa dall’Afghanistan nel modo peggiore, il caos italico rinserrato nella morsa del comando economico regolato dall’alto rischia di riverberarsi in Europa e – come dimostra la situazione libica – in un Mediterraneo già in frantumi. Il non ricorrere al voto si rivela l’elemento decisivo in questo processo. La crisi organica di gramsciana definizione prosegue con un’irreversibilità impressionante per effetto ormai evidente degli impegni dettati dall’Europa in merito al Pnrr. L’approvazione definitiva della legge sulla riforma della giustizia è rinviata a settembre e altrettanto lo saranno quelle della Pubblica amministrazione e della finanza pubblica che avrebbe nella questione erariale il suo fronte ineludibile e benefico di scontro.



Non vi è accordo tra le forze parlamentari di governo proprio quando sarebbe indispensabile garantire al processo di acquisizione delle risorse destinate dall’Ue nel contesto del Pnrr l’ambiente politico più consono per poterle ottenere nel modo più celere possibile. Ma di tale accordo – ecco la questione – non vi è più bisogno. Se si esamina il processo di attribuzione dei fondi ben si comprende come alla dinamica della vita parlamentare si sia sovrapposta una rete decisionale che può solo essere turbata e arrestata nel suo svolgersi meccanico dalla vita stessa della politica che è il confronto e la manovra parlamentare.



Ora la società politica innervata in ciò che rimane delle macchine dei partiti deve trasmutarsi invece in una sorta di platea da cui si assiste al procedere dell’ingranaggio distributore delle risorse. Ecco la morte della politica. Essa è giunta e pare non vi sia più scampo dinanzi all’inverarsi del procedere della macchina neocameralista governata dall’alto.

Alla politica così mutata non rimane che lo scontro nell’arena degli interessi, le polemiche sulle nomine, le vendette trasversali di antichi compagni di cordata che dinanzi al banchetto ben ordinato da automi invisibili ora si dividono animati da risorti appetiti. Dinanzi a questo trasmutarsi della politica in macchina erogatrice di risorse procacciate a debito sui mercati mondiali in forma coordinata da regole transnazionali eurocratiche, le discussioni sul destino di Mario Draghi e sulle prossime o lontane elezioni politiche fanno sorridere.

Certo, responsabilmente bisognerebbe piangere, ma non abbiamo più lacrime democratiche e costituzionali da disperdere inutilmente.

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