L’interdipendenza economica ha assunto negli ultimi vent’anni una trasformazione radicale rispetto a quella che si verificò dapprima tra gli anni Ottanta dell’Ottocento sino agli anni Dieci del Novecento e poi – dopo il crollo ingenerato dai nazionalismi economici susseguenti al crollo degli imperi zarista, austroungarico e ottomano – col crollo interdipendente di potenza per via del vuoto politico e ordinamentale europeo, frutto più eclatante del primo dei due episodi della lunga guerra novecentesca terminata nel 1945 è iniziata nel 1914.
La conseguenza del secondo dei due episodi guerreschi mondiali più eclatanti fu la vittoria sovietica in Europa continentale e baltica e il declassamento del Giappone a potenza regionale – dopo la sua ascesa nel novero delle alte vette del potere mondiale – per via dello stermino atomico a cui fu sottoposto.
La Cina per via demografica e combattente occupò l’interstizio tra i frattali del Grande Gioco con prospettiva indiana e persistenza dei conflitti sette-ottocenteschi tra bassa Mongolia e tracimazione pakistana, creando sino a oggi una costante instabilità che è la ragione della solitudine pluribilanciata indiana.
Paradossalmente il disegno astrattamente occidentale gandhiano, mentre provocava milioni di morti musulmani e induisti per la resa del Regno d’Inghilterra stremata dalla guerra, scompaginava il blocco indiano trasformandolo in quel mosaico grazie al quale gli Usa avrebbero potuto esercitare quel ruolo di blocco ogni volta che avessero voluto in tutta l’antica regione del Grande Gioco tra Pakistan e Bangladesh.
L’assassinio di bin Laden prima, e il ritiro dall’Afghanistan fuori da ogni logica di potenza esterna per pulsioni elettorali interne poi, hanno confermato tale configurazione degli eventi e della agglomerazione indo-pacifica del potere.
In questa visione mondiale l’aggressione russa imperiale e imperialistica insieme ha riaperto la terza fase del conflitto instauratasi nel primo decennio del Novecento. La lunga guerra civile è di nuovo iniziata. Il panorama è mutato.
L’abbassamento dei costi logistici con gigantismo trasportistico e diffusione logistica nella cuspide finanziaria capitalistica con piattaforme digitali e ripresa della corsa nello spazio con obiettivo Marte si è sposato con la riattualizzazione del lavoro neofeudale e neoschiavistico grazie all’ideologia imprenditoriale atomizzante diffusa nei landscape ideologici delle masse atomizzate destinate allo sfruttamento da plusvalore assoluto nella crisi nichilistica in tutto il mondo.
Questo processo non è più gestito da poliarchie nazionali e neppure da coacervi di trattati tipo Ue, ma da conglomerati capitalistici neo-hilferdinghiani che si sono concretati in formazioni economico-sociali transnazionali stabili che l’imperialismo russo ha messo in discussione impetuosamente. Questi costrutti geo-strategici economici sub specie capitalismi monopolistici di Stato sono i seguenti: il Kombinat tedesco-russo-cinese a forte instabilità demografica e sbilanciamento di risorse energetiche ad altissimo grado di potenzialità aggressiva; il costrutto sino-americano a prevalenza finanziario-tecnologico-militare destinato alla disgregazione con tassi di instabilità epocali; il meccanismo neocommonwealthiano dell’anglosfera indopacifica con geometria variabile asiatica dalle Filippine all’Indonesia al Vietnam. Geometria da cui dipenderà, dal Vietnam alla Filippine, la possibilità di integrarsi con l’estensione di potenza recente di una Nato annichilente l’autonomia strategica di potenza economico-militare dell’Ue e prodromo della dispersione a frattali scomposta di un’Europa vassallatica a frattali che sarà costante motivo di incertezza e di deflazione secolare via dominio teutonico dell’economia mondiale.
Solo le possibili politiche pubbliche economiche kaleckiane di debito pubblico dedicate alla crescita e alla crescente importanza del benvenuto complesso militar-industriale di rollback russo-cinese potrebbero invertire una rotta verso la crisi.
I mari dell’Heartland, seguendo la lezione imperitura di Spykman, saranno con il Baltico e l’Artico i termini di contesa di un pulviscolo continuo di guerre locali, a cui si aggiungeranno quelle ormai organiche e croniche secolarmente di tutta l’Africa, orfana per sempre dell’unica potenza che era in grado di contenerne il declino catastrofico: la Grande Africa mitterrandiana, senza di cui l’anglosfera non potrà più da sola assicurarne né concerto, né equilibrio stabile di potenza.
Ha l’Europa un ruolo possibile, a iniziare dalla riforma dell’Ue e dal parteneriato con l’Africa nell’alleanza non subordinata ma vassallatica con l’anglosfera?
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