Che cosa stia succedendo nel sistema di Stati europei raccolti nell’Ue è un enigma che richiede di essere almeno affrontato per quello che è, e non per quello che appare. E per farlo, come sempre, bisogna guardare agli Usa. In tal modo si è dinanzi a un disvelamento delle forze profonde che scuotono le poliarchie di un capitalismo mondiale interamente nuovo rispetto a quello in azione nel Novecento e ancora all’inizio del nostro secondo millennio.



I contrasti e le contraddizioni dei capitalismi finanziarizzati e digitalizzati non riescono ad acquetarsi e la competizione è sempre più forte, giungendo sino alla guerra in Europa, come è reso evidente dall’aggressione imperialista della Russia all’Ucraina. Essa altro non è che la lotta dell’imperialismo russo per la partecipazione al controllo delle vie di dominio che vanno dal Mediterraneo ai mari della Cina: partecipazione al controllo che la Russia, dopo il crollo dell’Urss e il dominio di Eltsin, ha visto per anni minacciato dall’espansionismo Usa in Europa, via Ue e Nato. Minaccia a cui la Russia – come sempre nella sua storia millenaria – risponde con l’aggressione armata e brutale e le guerre ibride. Guerre dirette a controllare non solo l’Heartland, ma anche, e soprattutto, i mari del vicino e lontano Oriente, passando dal Grande Medio Oriente e dal Corno d’Africa.



La forza dell’economia, del resto, scatena questa reazione, perché impone a tutti gli attori in campo la necessità di abbassare i costi di transazione delle merci, via mare e non solo via terra. Di qui gli stridori che la pandemia, prima, e il clangore delle armi, ora, frappongono al disegnarsi di questa strategica necessità del capitalismo oligarchico-autoritario russo. Gli Usa, dal canto loro, devono tenere a bada il revisionismo cinese, proteso all’espansione di terra e di mare, e devono farlo contrastando, insieme, quello russo.

Gli alleati dell’Ue non aiutano il disegno Usa: sono divisi e riottosi di subire un unico comando e si frantumano, quindi, sempre più, cercando via di uscite solipsistiche e non centralizzate. La guerra russo-ucraina docet, l’imposizione delle sanzioni alla Russia che nessuno in Europa voleva (il Regno Unito, infatti, non è più in Europa-Ue) docet: le diverse vie con cui si cerca di uscire dall’aumento dei costi e dalla caduta dei profitti insegnano più che mai che la situazione è giunta a un punto di non ritorno.



Di qui l’iniziativa franco-statunitense, capolavoro diplomatico, sia della più culturalmente evoluta diplomazia del mondo, che parla non a caso la lingua di Talleyrand (la Francia, s’intende!), sia della potenza militare ed economica prima al mondo, anche se la cultura difetta (gli Usa, appunto). Annunciata come una polemica sulle misure del dumping sleale nordamericano, l’operazione si sta concludendo con una nuova alleanza franco-statunitense, come ai tempi della Seconda guerra mondiale, quando il generale De Gaulle (un ribelle e un combattente anti-petainista anche in tempo di pace, con le sue strategia antitetiche rispetto a quelle prevalenti nell’armata francese e nel capitalismo nazionale che si foraggiava con esse) fu cooptato sulla corazzata della guerra anti-nazista, anti-fascista e anti-nipponica dagli Usa, con un Churchill riluttante.

Biden ha proclamato Macron leader europeo in funzione anti-tedesca, rincuorando quel capitalismo francese di cui Macron è un campione e che affonda le sue radici nelle grandi figure di Pierre Mendes France, di Aristide Briand e di Jean Monnet, sino a giungere al “planismo” gollista e all’integrazione europea “con giudizio” e senza “atlantismi subalterni”. Le defi americain di Servan-Schreiber è sì dell’altro secolo, ma sempre attivo e operante è il suo insegnamento: sono gli Usa la cuna del mondo ed è ad essi che bisogna guardare per vincere i tedeschi, influenzare il Centro Europa con la Grande Polonia alleata della Francia e parlare con la Russia da pari a pari, per elevare, così, ancor più la Francia sulle vette del potere mondiale.

È una strategia che oggi si dipana nuovamente dinanzi a noi. Ma dell’Ue, se essa dovesse inverarsi sino all’ultimo atto, non rimarrebbe più nulla. Già le armi hanno dato il loro responso: dell’esercito europeo non vi è più bisogno: basta la Nato. E se Scholz va in Cina per cercare di sfuggire dalla morsa statunitense che stritola l’industria tedesca (e che è connessa strutturalmente con quella italiana, non dimentichiamolo), anche Michel lo segue, ma senza Ursula von der Leyen, che non è ancora scesa da cavallo! Un’assenza sconcertante e che serve per prendere contezza di una realtà che sfugge da ogni parte e che non si sa, troppo spesso, interpretare.

Insomma, la disgregazione avanza. E come sempre è la Francia, sulla scia di un gollismo sempre più incisivo, ad aprire la strada alla disgregazione politica europea. Gli Usa inverano così una nuova strategia di dominio senza più egemonia, di cui un tassello non secondario è la continuità dell’assenza di una rappresentanza diplomatica statunitense di primo rango in Italia. Quest’ultimo Governo – finalmente un governo politico! – deve far proprio questo insegnamento e riacquistarlo, questo accreditamento, stracciando il memorandum con la Cina che i filo-cinesi italici avevano confezionato all’ombra delle mura vaticane e ispirandosi al Trattato, in gestazione da anni e anni, tra la Santa Sede e il Pcc sulla nomina dei vescovi.

Tutto ciò accade mentre la forza del capitalismo Usa si rende manifesta con sempre più eloquenza e richiama gli Stati europei alle loro responsabilità dinanzi alla storia mondiale. Una storia che si sta dipanando sotto i nostri occhi con una nuova inquietante versione.

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