La venuta del Secretary of State Antony J. Blinken in Europa assume una dimensione inconsueta, o meglio inattuale rispetto allo sfilacciarsi crescente che le relazioni diplomatiche avevano assunto non solo tra Usa e Ue negli ultimi trent’anni, ossia partire dal famigerato unipolarismo inaugurato da Clinton, perseguito con determinazione dalla famiglia Bush e poi da Obama sino agli ultimi sei mesi del suo mandato, quando si verificò il remboursement geniale della prospettazione dei due accordi globali, transatlantico l’uno e indopacifico l’altro, che solo la stupidità franco-tedesca, da un lato, e la sconfitta elettorale di Obama e l’ascesa di Trump, dall’altro, interruppero, ripiombando il mondo in un unipolarismo ancor più dannoso (e come poteva non esserlo dopo le guerre in Iraq e in Siria fomentate dagli Usa e utilizzate da Russia e Turchia per estendere il loro potere di influenza in una situazione mediterranea a contendibilità sempre più palpabile?).
Ora Blinken non si spaventa più dell’utopia aggressiva teutonica, senza armi ma con i cannoni dell’economia, e partecipa ai convegni sulla Libia berlinesi e parteciperà a quelli che seguiranno. E qui emette quello che è un giudizio e un invito ai vassalli ben perentorio: Francia, Germania e Italia, dice, sono i tre Stati europei che partecipano sia al G7, sia alla Nato, sia all’Ue, quindi, afferma questa volta sottovoce, si comportino come fedeli vassalli senza colpi di testa, sennò non ci ritireremo solo dall’Afghanistan; e brandisce la minaccia del ritiro trumpiano delle truppe Nato dalla Germania, con le proteste degli Stati già dominati dall’imperialismo sovietico che così vedono nuda la Germania e soprattutto la Merkel, che con le sue passioni per le cineserie neppure l’ombrello Usa sapeva garantire dinanzi all’orso russo.
In compenso gli Usa del gran regista Blinken hanno già dato il via libera al completamento del Nord Stream 2, confermando ciò che noi poveri petrolieri decaduti e gasisti impenitenti sapevamo. Era un tira e molla diplomatico di rara potenza e si è visto com’è finita: ora serve per dare un dolcetto a coloro che succederanno a una Cancelliera che non ne può più, poverina. Ma il viaggio di Blinken rinnova la speranza vera e sacrosanta che si ritorni finalmente alla diplomazia.
Il fatto che il giovane segretario di Stato parli francese e si sia formato a Parigi e non sia un paracadutista francese improvvisato come quelli che conosciamo qui in Italia, fa ben sperare. Il segretario di Stato americano chiuderà il suo viaggio il 29 giugno con la partecipazione al G20 dei ministri degli Esteri, che si terrà a Matera. In quell’occasione potrebbe trovarsi faccia a faccia con l’avversaria giurata di Washington, la Cina, la cui crescente assertività all’estero e in territorio nazionale rappresenta la principale sfida per la Casa Bianca.
Durante il G7 in Cornovaglia Biden ha lanciato la sfida alla Cina proponendo un piano infrastrutturale in risposta alla “Belt and Road Initiative” di Pechino. Ma non basta: il nostro ha incontrato un ministro che gli è molto simile quanto a caratura culturale, il francese Le Drian, e gli ha assicurato l’interessamento degli Usa per la situazione in Ciad dopo la morte di Déby, alleato storico dell’Esagono, e altrettanto ha fatto con i problemi che sono emersi in Camerun e in Libano. Insomma, ci si muove a largo raggio anche in Africa e quindi vuol dire che si ritorna finalmente alle musiche che si suonavano al Congresso di Versailles circa un paio di secoli or sono: forse la musica delle relazioni internazionali è mutata.
Del resto, è un segmento importante dell’establishment Usa a muoversi in tal senso. Lo si era ben compreso all’ultimo vertice Nato a Bruxelles dello scorso 14 giugno: “Questo viaggio rispecchia la priorità del presidente Biden di ricostruire le nostre relazioni con gli alleati”, disse Philip Reeker, assistente segretario di Stato Usa per l’Europa. “La forza di queste relazioni getterà le basi per molte delle priorità di politica estera, compresa la ripresa economica dalla pandemia di Covid e il contrasto all’autoritarismo della Repubblica popolare cinese e in tutto il mondo”, aggiunse.
Emerge un complesso di forze a forte trazione transatlantica ma con radici culturali più europee che mai, rispetto agli ultimi anni: Blinken è un veterano della politica estera, è un moderato che ha vissuto a lungo a Parigi e che conosce non superficialmente il contesto europeo e che parla correntemente il francese: sembra un miracolo dopo tante cadute di stile. E senza stile la diplomazia non esiste.
Ultima conferma di ciò: seguendo lo stile del dimenticato ma sempre attualissimo Myron Taylor, che costruì le condizioni tra il 1939 e il 1952 per il riconoscimento diplomatico dello Stato Vaticano da parte degli Usa, il nostro Blinken sarà in Vaticano, ma senza essere ricevuto dal Santo Padre, come si conviene, naturalmente in un mondo normale.
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