L’esclusione dell’Italia dall’incontro a Berlino tra i leader di Usa, Francia, Germania e Gran Bretagna per discutere di Ucraina è un evento destinato a precostituire una situazione di potenza in Europa che sinora era stata sommersa e nascosta ai più: la crescente configurazione istituzionale di un sistema politico mondiale delle relazioni internazionali sempre più rivolto verso una sorta di globalizzazione bellica, in cui se si è esclusi dalla cuspide decisionale si è destinati alla decadenza.



Forse il senso ultimo del primo ventennio del secolo XXI è stata la trasformazione della globalizzazione economica in globalizzazione di potenza e di guerra permanente sotto altre spoglie di quelle con cui essa (la guerra) si presentava nel Novecento. Non vi è dubbio che l’Italia è stata stritolata dalla sua irrilevanza crescente tanto nei Balcani quanto nel Grande Medio Oriente. L’eliminazione di Gheddafi è stata in questo senso un segno di svolta potentissimo e lacerante.



Nei Balcani si tratta, invece, di un processo lungo e complesso che inizia con la sconfitta della visione di Gianni De Michelis, ultimo ministro degli Esteri di una tradizione italiana che inizia con Grandi, continua con De Gasperi, Andreotti, Moro e Craxi… e poi muore con lui. La tradizione italiana che inizia negli anni Trenta e risorge dalle ceneri della guerra e dell’8 settembre 1943. Essa identificava il ruolo dell’Italia come avamposto vassallatico dell’anglosfera in quello spazio mondiale che aveva il suo perno tra Mare Adriatico e Canale di Sicilia, per raggiungere il Grande Medio Oriente che nel Mediterraneo si affacciava. Così si poteva sviluppare – tramite il rapporto vassallatico con gli Usa e il Regno Unito – un’influenza mondiale grazia alla mediazione esercitata già negli Trenta del Novecento con l’Impero russo sovietico e poi post-sovietico, trattenendo tale impero – in questo modo – nelle braccia dell’Europa, così resistendo alla sua asiatizzazione sempre incombente.



Ora questo ruolo italico si è consumato. Non è un caso che sia oggi la Germania a dare le carte nella riunione di Bruxelles (la Francia su cui tutto si puntava alla Farnesina trascolora nel mondo…), così come fu la Germania a sconvolgere il mondo e a distruggere l’europeismo con il riconoscimento senza Ue che fece – negli anni decisivi a cavallo tra il vecchio e il nostro nuovo millennio – della Croazia: i Balcani – grazie a quella decisione di potenza nazionalistica e alla mannaia serba che così si scatenò – iniziavano a colare sangue.

Ed eccoci di nuovo al disastro: si chiude oggi nella capitale belga il summit tra i ministri della Difesa dei Paesi membri della Nato, oltre a quelli dei Paesi partner dell’Indo-Pacifico – Australia, Giappone, Corea del Sud e Nuova Zelanda – che per la prima volta prenderanno parte al vertice ministeriale. Presenti anche l’Unione Europea e il ministro della Difesa ucraino Rustem Umerov, con finale conferenza stampa congiunta di Rutte e Zelensky. La mondializzazione della doppia crisi, balcanica e Grande Medio Orientale, così si ufficializza e non può che diventare più acuta.

L’ingresso dell’Ucraina nella Nato, ha detto Rutte, è un percorso “irreversibile” che avverrà “al momento giusto”, ossia quando sarà raggiunto un accordo nei confronti della Cina, di come ci si dovrà comportare economicamente in una vicenda che si sta facendo drammatica, ossia quella del declino economico cinese con i riflessi sul commercio mondiale che tale declino assume con crescenti divisioni intra-europee e tra gli Usa e la Germania e la Francia: l’Italia assume un ruolo che non è più vassallatico, ma di natura sacrificale, a vantaggio degli altri partner della transizione in corso che piuttosto che energetica è di sistemi di potenza. Gli Usa sceglieranno volta a volta gli alleati che considereranno rilevanti in uno scenario che la guerra di Israele contro l’attacco stragista che ha subito dal terrorismo antisemita ha trasformato in una guerra mondiale a bassa tensione. Bassa tensione se misurata come dispiegamento di forze sul terreno e ad altissima tensione, invece, se misurata dal numero dei contendenti e dai capitali in gioco nella versione di un imprevisto capitalismo mondiale di guerra (tra imperialismi).

Gli Usa, impero riluttante, sono sempre più trascinati a svolgere il ruolo che, invece, la storia loro consegna, ossia di capitalismo dominante, dismettendo i panni della centralizzazione pacifica con i capitalismi cinese e russo che si sono ormai disvelati come avversari storici impegnati in quello che considerano entrambi una guerra di sopravvivenza.

L’Italia deve trovare un posto in questa trasformazione. Un ruolo, insomma, che non la releghi per sempre nella decadenza economica, politica e morale nell’orizzonte mondiale. In questo senso il viaggio di Giorgia Meloni in Libano è un’iniziativa coraggiosa, audace, ma che non interpreta la gravità del momento, mentre l’Ucraina ufficializza lo stato bellico anche con l’Iran e la Corea del Nord, trascinando tutte le medie e grandi potenze in uno scontro che può trasformarsi in una tragedia mondiale.

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