In attesa di presentarsi alle Camere all’inizio della prossima settimana, il Conte-2 comincia a muovere i suoi primi passi. A partire dall’indicazione del candidato italiano alla Commissione Ue. La scelta è caduta su Paolo Gentiloni, che proprio ieri ha incontrato la presidente Ursula von der Layen. Il clima con l’Europa si è molto rasserenato rispetto all’era del governo giallo-verde, ma per l’economista Giulio Sapelli “questo governo, che pure avrebbe tutte le occasioni per fare una politica diversa, essendo diretto da un lato da una tendenza ordoliberista e dominato, dall’altro, dalla magia, non sa assolutamente cosa bisogna fare per il rilancio della politica economica”. All’orizzonte si profilano, infatti, una recessione che assomiglia tanto a uno tsunami e un evento traumatico come la Brexit no deal, che rischiano di mettere a soqquadro la stabilità della Ue.



Partiamo da uno dei primi passi di questo governo M5s-Pd, che secondo lei è eterodiretto, dedito alle svendite e che durerà fino all’elezione del prossimo Capo dello Stato: alla Commissione Ue manda Paolo Gentiloni, ex premier è vero, ma pur sempre esponente di un partito che ha perso alle Europee, il Pd. Come valuta questa nomina?



È in linea con quella che è la caratteristica di questo governo, frutto appunto di una manovra dall’alto. In realtà, c’era stato un tentativo di mediazione con una provincia ribelle – l’Italia, che aveva un governo strano, forse un po’ contro natura, formato da due forze così diverse come M5s e Lega – nel momento in cui Salvini aveva tentato di mediare sulla proposta di mettere a capo della Commissione Ue Weber al posto della von der Leyen.

L’accordo però non è andato in porto…

Perché Macron si era ribellato. Avrebbe fatto naufragare il suo disegno centrato sull’emarginazione di tutte le correnti anti-austerity e non ordoliberiste. In caso contrario, si sarebbe trovato in una posizione molto debole in Francia. Da quella mancata mediazione si è montato il progetto per arrivare a questo nuovo governo, che, per certi versi, è anche interessante.



In che senso?

Unisce la tecnocrazia e una forma di cesaropapismo di ritorno, perché chi ha avuto un ruolo importante è stato anche il Vaticano. Un’entrata a piedi uniti che si è incardinata in quel progetto europeo ostile ad ogni disponibilità di manovra lasciata a una provincia dell’impero.

Come spiega, allora, l’atteggiamento di accondiscendenza e di entusiasmo dell’establishment europeo, che ha accompagnato la nascita del nuovo governo, a tal punto che sembra già acquisito il fatto che al Conte-2 senza la Lega verrà garantito e concesso quel che è stato negato al Conte-1 con la Lega?

Dobbiamo ricordare due fatti concomitanti. Da un lato, nonostante ci sia una tecnocrazia al governo, il punto è che si cerca comunque di governare l’impero con la politica. E la scelta politica dice: nessuno si deve muovere troppo, nessuno deve disturbare il pilota automatico. Non è più un problema di destra e sinistra. Questo impero traballante che è l’Europa – traballante perché non ha un centro stabile, bensì due: uno a Strasburgo, l’Europarlamento, che non conta quasi niente, l’altro a Bruxelles, cioè la tecnocrazia – non può permettersi fughe verso la libertà di contestare la politica europea.

E l’altro fatto?

Ora si concede all’Italia ciò che si concede alla Germania sulla questione del surplus commerciale o alla Francia sullo sforamento del deficit. Ma qui c’è una contraddizione che non hanno colto in molti.

Quale?

L’effetto combinato ha sortito la nomina di Gualtieri al Mef. Molto interessante.

Perché interessante?

Gualtieri, è vero, ha gestito i rapporti con il centro tecnocratico Ue, ha la fiducia di Draghi, ma non tanto degli ordoliberisti, perché ha sempre contestato le regole dell’austerity e ha difeso le banche di territorio, anche se poi è uscito sconfitto. Penso che la sua nomina sia la più grande concessione fatta a Zingaretti, che è un po’ la variante non prevista.

Con quali effetti?

A questo punto sono curioso di vedere come farà questo governo a tenere insieme un’impostazione come quella di Gualtieri, convinto sostenitore dell’Ue ma non dell’ordoliberismo, con un governo che è guidato dalla magia.

Come dalla magia?

Questo governo mi ricorda la Corea del Sud, dove il ricorso all’astrologia è molto diffuso… Vent’anni fa, nel mio libro Antropologia della globalizzazione, scrissi che in gran parte le quotazioni alla Borsa di Seul venivano decise consultando gli astrologi. E non è un caso che pochi mesi fa il primo ministro sudcoreano sia stato accusato di impeachment per corruzione, ma anche perché ricorreva all’astrologia nella gestione degli affari di Stato.

Torniamo a Gualtieri e al governo giallo-rosso. Dove sta il possibile cortocircuito?

Gualtieri, che è uno storico serio, e non un economista, e questo è una fatto positivo, come farà a convivere in un governo che ha come sua base fondamentale l’opposizione agli inceneritori e alle trivelle, oltre tutto in un Paese che ha la più alta non autosufficienza energetica e ha un’anima fondamentalmente anti-industrialista ed esoterica? Come si tengono Gualtieri e Di Maio, il nuovo ministro degli Esteri, uno che l’unica lingua straniera che conosce, tra l’altro non molto bene, è l’italiano? Le posizioni magiche sono le più idonee per distruggere l’industria italiana.

Sempre a proposito di Gualtieri, Tria gli lascia in eredità 20 miliardi. Se aggiungiamo un deficit al 2%, arriviamo a una disponibilità di manovra da 50 miliardi circa. Non erano gli stessi importi ipotizzati da Salvini? Questo conferma che il problema era solo far fuori Salvini?

Far fuori Salvini era l’obiettivo principale. Anche grazie a tutti i suoi errori.

Ne elenchi qualcuno.

Non si può andare alla battaglia con la Ue senza chiarire cosa si vuol fare. Non si può mantenere due persone come Borghi e Bagnai in posti di responsabilità nelle commissioni Finanze di Camera e Senato. Non si può, se si vuol cambiare la politica europea, dare acqua alla menzogna che si vuol uscire dall’euro, parlando di mini-Bot e simili. E soprattutto non si può scegliere Geraci per negoziare con i cinesi, quando tutti sanno che è un uomo che non nasconde il fatto che lavora proprio per loro.

Si spiega così il twitter di Trump, che ancora ieri ha telefonato a Conte?

Trump ha twittato per tenersi buono Macron. Il problema è che Salvini si è presentato nudo all’appuntamento con la Ue. E pensare che si era mosso bene fino a quando ha negoziato sul nome di Weber, poi gli è sfuggito tutto di mano, mentre doveva continuare a negoziare con i tedeschi. E poi doveva dimostrare con chiarezza che non era assolutamente tentato dall’uscita dall’euro, bensì che voleva cambiare la politica economica europea, che è tutta un’altra cosa. Un errore fatale.

Prima accennava al fatto che nessuno deve disturbare il pilota automatico. In effetti, l’“eurosisitema”, sistemando tutte le sue caselle – Lagarde, von der Layen, periferia italiana stabilizzata… -, è blindato come non mai. Quale imprevisto oggi potrebbe riaprire i giochi?

Diciamo subito una cosa. La signora Lagarde arriva alla Bce già delegittimata, dopo quello che ha combinato il Fmi in Argentina, che è andata in crisi dopo che Lagarde ha adottato una politica scriteriata, aprendo così la strada al ritorno della Fernandez-Kirchner, cioè alla stessa cosa che loro temono possa capitare anche in Italia con Salvini.

E gli imprevisti?

Il primo imprevisto è che in Europa saranno subito costretti a fare quello che hanno fatto all’Italia, ma su larga scala, se la recessione in arrivo si annuncia per quella che è, uno tsunami. Basti un dato: non c’è mai stato così tanto cash nella pancia delle imprese europee, che non investono più, ma accumulano capitali proprio per essere pronte a fronteggiare lo tsunami. Ora, se non riparte il mercato interno, siamo morti; la deflazione sta ammazzando l’economia e la regola del Fiscal Compact è suicida.

Però la Lagarde ha assicurato davanti al Parlamento europeo che la politica monetaria della Bce continuerà a essere accomodante…

Visto che la Cina ha iniziato a fare una politica timidamente espansiva, in Europa dovranno fare ben di più rispetto a quello che ha fatto finora Draghi. Basti pensare alle crisi di Deutsche Bank e Commerzbank. E un altro imprevisto sarà la Brexit.

In che modo questa partita impatterà sullo scenario europeo e dunque anche su quello italiano?

Gli inglesi, che escono dall’Europa con un no deal, ormai inevitabile, vista anche la cocciutaggine dei negoziatori europei, per prima cosa torneranno a occuparsi del Mediterraneo e del Medio Oriente.

Quindi?

Si metteranno a dar fastidio ai francesi. La ricostruzione della Mesopotamia sarà il modo con cui si potrà tirar fuori dalla crisi l’Europa.

Cosa c’entra la Mesopotamia?

Lì bisogna ricostruire grandi Stati come la Siria, il Libano, l’Iraq. I russi ormai sono stabilmente in Siria, hanno comprato Assad, è quindi roba loro. Ma tutti quelli che vorranno trovare un nuovo spazio al di là dell’Europa dovranno andare in Medio Oriente, compresi gli stessi europei.

Che scenario prevede?

Siccome la Brexit farà franare un pezzo della stabilità europea, e questo è molto pericoloso, si potrà uscire dalla recessione solo con una serie di politiche economiche coordinate ed espansive. I francesi invece, per spirito di potenza, hanno in mente che si supera la crisi conquistando come bottino segmenti della grande distribuzione, dell’agricoltura, dell’industria o delle banche degli altri Paesi. La Francia, che vuole andare in Africa, ha bisogno di garantirsi le rotte energetiche e delle telecomunicazioni.

Nel dualismo tra Francia e Gran Bretagna nel Mediterraneo noi saremo per l’ennesima volta il vaso di coccio?

Noi non faremo niente, perché oggi non abbiamo una politica estera. In questa debolezza delle due grandi potenze europee – Germania e Francia – e con la fuoriuscita della terza – la Gran Bretagna -, l’Italia potrebbe giocare un ruolo straordinario, come sempre affidato alla nostra intelligenza. Abbiamo avuto la diplomazia e i servizi segreti migliori del mondo, perché avevamo dei capi politici, degli statisti. Oggi ci vorrebbe un Andreotti, un Colombo, o un Craxi. Invece abbiamo Di Maio…

Lo schema di governo pensato dalla Ue per la periferia italiana nel recente passato prevedeva uno scambio: più flessibilità in cambio di confini aperti ai migranti. Il tutto benedetto da una narrazione buonista e multiculturalista. Rivedremo lo stesso copione? O interverranno delle varianti?

Non credo, penso che rivedremo lo stesso copione, anche perché chi decide questo copione sono due grandi forze. La prima è il mercato: con la globalizzazione e con la disgregazione europea la forza che guida le migrazioni non è più lo Stato. I paragoni con gli italiani che emigravano sono tutte stupidaggini: gli italiani emigravano con i padri scalabriniani o con accordi tra Confindustria e i vari Stati.

E l’altra forza?

La virata del Vaticano, che in questo campo non si limita a implorare misericordia, cosa giustissima, ma vuole fare politica, sostituendosi al mercato e agli Stati.

Da qui a fine anno si terranno altre elezioni regionali, dall’Umbria all’Emilia-Romagna. Un patto anti-Salvini può funzionare? Cosa deve fare Salvini per rientrare in gioco?

Salvini deve fare una cosa che finora non ha fatto: passare dall’agitazione e dalla propaganda alla politica. Ad esempio, deve dire chiaramente che cosa vuol fare del Sud, non può vivere solo sulla lotta alla corruzione e alla mafia, non basta, ci vuole un’idea su cosa vuol dire autonomia o sviluppo. Se non fa politica, può andargli molto male.

Cosa deve evitare?

Non deve allearsi con FdI o con Forza Nuova. La Lega deve diventare un partito che guarda al centro.

Un’alleanza giallo-rossa saprà riconquistare gli elettori?

Se il Pd vuole rinunciare al suo insediamento territoriale tradizionale e rimanere un partito post-doroteo perso nel nulla, perché pensa solo a occupare il potere, che continui a stare con il M5s e a condividere le posizioni del M5s. Trivelle e infrastrutture saranno temi decisivi: se il Pd molla su questo, è finito.

(Marco Biscella)