“A egregie cose il forte animo accendono/ l’urne de’ forti, o Pindemonte; e bella/ e santa fanno al peregrin la terra/ che le ricetta”. Ugo Foscolo mi veniva alla mente quando giovane lavoratore olivettiano andavo ai comizi dei grandi leader dei partiti politici italiani che venivano a Ivrea per le campagne elettorali. C’era sempre da imparare, sempre, qualsivoglia partito si affacciasse sulla scena. Ma quando ho saputo, alla veneranda età di 73 anni, che riapparivano sulla scena Romano Prodi e Silvio Berlusconi, annunciati dall’araldo Mario Monti qualche giorno prima sul Corriere della Sera in quell’articolo in cui auspicava il riorientamento dei populismi nostrani verso il centro politico (posizione corretta e sacrosanta se fosse possibile), ebbene, Ugo Foscolo mi si è dissolto nella mente e dinanzi mi sono riapparse le frasi di Karl Marx nelle prime pagine de Il Capitale, che suonano più o meno così: “I morti afferrano i vivi… Noi dobbiamo soffrire non solamente per causa dei viventi ma ancora per causa di coloro che sono morti”. E mi sovviene anche ciò che diceva Auguste Comte sulla storicità dell’umanità fondata sulla presenza dei morti, presenza ineludibile, come ci ha ricordato drammaticamente la Pandemia.
Giungono le notizie delle agenzie di sorveglianza della produzione mondiale del Pil, agenzie che aprono la via alle misure di deflazione secolare e di drenaggio dei capitali privati a vantaggio delle nazioni più forti nella lotta economica che si è scatenata nel corso del coronavirus. Si confermano le tesi di Christian Harbulot, per il quale la storia delle relazioni economiche internazionali sempre più si tramuta, più di quanto non avvenisse un tempo, in rapporti di forza tra potenze che non si configurano più in conquiste territoriali o nell’esercizio del dominio diretto sulle popolazioni, ma in controllo nazionale e internazionale (finanziario in primis) sui potenziali tecnologici, industriali e commerciali in grado di far sì che produzione, moneta e benessere si diffondano sui territori su cui dominano élite nazionali. Esse sono vincenti in questo gioco più sono unite e non tra loro confliggenti nel perseguimento di tali obbiettivi politico-economici, trovando nello Stato la loro macchina di comando, di compensazione degli interessi e di mediazione.
L’esperienza cinese è esemplare a questo riguardo come tutto il mondo sta scoprendo anche per effetto del coronavirus, così come lo è quella francese e un tempo lo era con dirompente forza quella tedesca. Oggi essa è in verità avviata a un triste indebolimento della sua dominazione per il declino fisico e intellettuale di Angela Merkel, la quale sconta il fallimento delle politiche di continua estenuazione tattica sia della Francia che dell’Olanda, sia dei suoi avversari interni. Una continua tattica nell’assenza di qualsivoglia pensiero strategico che non fosse e non sia quello della mediazione tra l’anti-atlantismo tipico di una parte dei cristiano-sociali tedeschi e l’emersione di una borghesia sempre più convinta che l’ordoliberismo sia una politica suicida in primo luogo per la potenza tedesca e quindi anche per l’intera Europa. La deglobalizzazione lenta e graduale in corso in Europa ne è una conferma solo oscurata dal paziente gioco del soft power dell’ala ordoliberista della Cdu e del liberalismo liberista tedesco.
L’Italia, dal canto suo, è un esempio di classi dominanti disgregate in assenza di classi dirigenti, come ormai la sua storia secolare ha reso evidente. Con i soli intervalli del Risorgimento a guida sabauda e della Resistenza a guida compartita tra forze nazionali e Usa, Urss e Uk, che diede vita a quella classe politica incapace poi di passare il testimone dopo il crollo dei partiti filoatlantici di massa e non ordoliberisti, sostituiti da una subalternità finanziaria globalista che diede vita al fenomeno di Mani Pulite, vero colpo di stato da “Guerra economica” da manuale.
Romano Prodi e Silvio Berlusconi furono l’inizio della decadenza italica politica. Il primo fu costruito in breve tempo come candidato sintetico con trasmissioni televisive e interventi che miravano a disgregare tanto la Dc (già consunta dopo l’assassinio di Moro) quanto i partiti di centro e ciò che rimaneva del Pci sotto la guida di un nuovo gruppo dirigente che aveva liquidato rapidamente il buon Alessandro Natta e l’eredità sovietica senza nessuna Bad Godesberg. Berlusconi invece scendeva in campo per affermare un’alternativa a un Governo di sinistra neo-liberista che si pose poi alla testa del colpo di Stato a guida finanziaria liberista di Mani Pulite, trascinando poi alla persecuzione giudiziaria lo stesso Berlusconi che doveva difendere i suoi interessi aziendali, ieri come oggi: oggi in Europa.
Inaugurarono le loro campagne elettorali e ricordo ancora come iniziarono i loro interventi televisivi: Prodi rivolse a Berlusconi l’epiteto di trattare le cifre come un ubriaco tratta un lampione a cui si appoggia per non cadere, mentre Berlusconi accusava Prodi di essere l’utile idiota dei comunisti mentre l’Urss andava disfacendosi. Très vaste programme, per citare De Gaulle. Inizia così il declino politico italiano, come comprese con lucidità più di tutti Francesco Cossiga.
Oggi il controllo estero sull’Italia – che occorre dominare politicamente con la teocrazia di nomina politica bruxelliana – si disvela in tutta la sua virulenza. La borghesia vendidora pare aver vinto questa partita.
La povera gente, i lavoratori, gli artigiani, le persone che vivono del proprio lavoro e vorrebbero lavorare e continuare a produrre sono sconfortate e allibite. Dal governo con la paura si passerà al governo di un potere invisibile ma potente e agguerrito. Dopo piazza Fontana, dopo l’Italicus, dopo la strage di Bologna poteva andar molto peggio per la nostra povera Patria che ha subito le stragi terroristiche a guida internazionale! Ma certo è che l’anomalia italiana continua. Mentre termino questo articolo mi telefona dalla Grecia il mio grande amico Lodovico Festa e mi conferma che il rifiuto di Mitsotakis del Mes è fermo e convinto. Hanno già provato la cura della guerre economique. Alla borghesia italiana o a ciò che ne rimane non basta ancora. E neppure a coloro che sono storditi dalla paura e dalla propaganda senza politica.