Mentre Pd e 5 Stelle appaiono divisi al loro interno e temono le regionali del 20 settembre, nel governo la figura di Conte continua a rafforzarsi. Il premier, fino a un anno fa ritenuto un mediatore malleabile nelle mani dei suoi vice, è diventato dopo la quarantena il protagonista della politica italiana, oltre che uomo di riferimento dei 5 Stelle. Sono Germania e Francia a sostenerlo, dice l’economista Giulio Sapelli, e lo si vede dalle scelte dell’esecutivo.



Il governo ieri ha annunciato di voler richiedere il Sure, il fondo europeo per la disoccupazione che ci espone per altri 30 miliardi verso la Commissione europea. Per Sapelli il governo ha commesso diversi errori in questa fase. I più grandi sono l’aver accettato i soldi del Recovery Fund “senza richiedere l’applicazione dell’articolo 122 del Trattato del 2012 sul funzionamento dell’Unione”, e la prosecuzione del blocco dei licenziamenti, che il professore giudica una scelta “da Venezuela”.



Come mai Conte sembra rafforzarsi se i partiti della maggioranza appaiono in crisi?

Conte si rafforza proprio per la crisi dei partiti: è l’unico punto fermo in una situazione peristaltica, e in un mondo così concentrato su social e televisione è diventato protagonista. I partiti non esistono più, questo governo è un insieme di gruppi personali in conflitto tra di loro. Cosa che rende impossibile portare avanti la legislazione.

Quali sono i sostegni più solidi sui quali Conte può contare, se M5s e Pd sono così incerti?

Ha l’appoggio del Vaticano e della Compagnia di Gesù, le uniche forze che ancora sopravvivono in Italia. Ma non ha alcun appoggio internazionale, tranne quello di Francia e Germania.



La vicenda dei verbali del Comitato tecnico-scientifico può avere delle conseguenze legali?

Spero la vicenda non abbia strascichi giudiziari. Un tempo, quando c’erano le tragedie, ci si interrogava sul perché, non indagavano le procure. Non credo che tutto debba andare in mano ai giudici. Si è trattato di un’indecisione, Il governo ha fatto errori ben più gravi.

Giudici e scienziati possono influenzare ancora di più l’azione di governo in questa fase?

Le forze tecniche non salvano le nazioni. Avremmo dovuto fare come la Sud Corea, incrociando i dati tecnici dei medici con una riflessione sociologica e organizzativa. Al posto del governo, invece di imporre lo stare a casa, avrei suggerito di lavorare con prudenza, sanificando mezzi di trasporto e luoghi di lavoro… Ma quello che è successo è successo, non mi sembra il caso di tornarci su in tribunale. Al governo hanno fatto degli errori ben più gravi.

Però sappiamo che un’inchiesta giudiziaria c’è.

Dovremmo farne volentieri a meno. Tutto quello che succede in questo paese, ormai, finisce nelle mani dei magistrati.

Dopo l’approvazione del Recovery Fund, oggi il governo ha richiesto alla Commissione europea di accedere al Sure, il fondo europeo di sostegno alla disoccupazione. Si tratta di quasi 30 miliardi in prestito. La nostra esposizione finanziaria verso la Commissione europea è in aumento. Qual è la sua valutazione?

L’errore è stato prendere i soldi del Recovery Fund senza richiedere l’applicazione dell’articolo 122 del Trattato del 2012 sul funzionamento dell’Unione, che sospende il Fiscal compact e le altre regole europee in caso di eventi catastrofici. Con l’applicazione dell’art. 122, anche in caso di mutualizzazione del debito non avremmo subito una procedura di controllo e imposizione, quella in cui stavolta incorreremo. Ma ora, sapendo che i soldi andranno rimborsati, dobbiamo almeno spenderli bene, altrimenti avremo solo i controlli senza i benefici.

Eppure in Italia il Recovery Fund è stato presentato come un successo.

Lo hanno fatto tutti i paesi europei, ognuno ha detto di aver vinto: sia i paesi “frugali”, sia gli altri. La tecnocrazia non può far passare i suoi accordi come un insuccesso. E le opposizioni non hanno saputo contestare l’accordo da un punto di vista tecnico.

C’erano delle alternative?

Due. La prima era il prestito nazionale proposto da Giovanni Bazoli, la seconda era il ricorso ai fondi di riserva del Fmi. Invece si è scelta la strada della demagogia.

I soldi del Recovery Fund andranno spesi secondo un piano da sottoporre al giudizio della Commissione europea. Sarà un problema?

La Commissione si convince sulla base di motivazioni politiche, non sul valore tecnico del piano. A noi serve un piano applicabile, ma non abbiamo un apparato tecnico in grado di fare un piano efficace e dettagliato. Non credo quindi che il Recovery Fund ci porterà dei vantaggi.

Prima dell’arrivo dei fondi torneremo di fronte alla Commissione per la legge finanziaria di quest’anno, col bilancio pesantemente in deficit. Cosa dobbiamo aspettarci?

Anche se tutti i paesi europei avranno un bilancio in deficit, noi toccheremo un debito molto più alto. Ma non penso che la Commissione ci punirà sulla finanziaria di quest’anno, lo farà sulla mutualizzazione del debito. Avremmo dovuto ridiscutere le regole europee, ma non l’abbiamo fatto.

Come valuta il blocco dei licenziamenti deciso dal governo?

È stato un gravissimo errore, una scelta da Venezuela. A volte nelle imprese un licenziamento serve a evitare che ce ne siano cento. L’errore è stato presentare la politica del lavoro come una cosa per magistrati e avvocati, un errore che ci portiamo dietro dall’approvazione dello Statuto dei diritti dei lavoratori. Il punto è che non si può decidere attraverso delle regole giuridiche le relazioni industriali, che invece vanno affidate al rapporto tra le parti.

Cosa avrebbe dovuto fare il governo?

Bisognava fare una riforma vera, improntata alla politica attiva, delle Agenzie del lavoro, non una riforma dall’alto di tipo peronista.

Siamo senza una politica estera nel Mediterraneo. Nel frattempo aumentano gli sbarchi…

La nostra politica nel Mediterraneo riguarda i nostri interessi politico–economici. Al momento è assente, ma non va confusa con la gestione del problema migratorio, che è inevitabile. Bisogna attrezzarsi per accogliere chi arriva qui, o altrimenti provare a cambiare il trattato di Dublino. Ma le due cose non vanno unite.

(Lucio Valentini)