Il cancelliere tedesco Scholz ha compiuto un viaggio in Cina ricco di implicazioni non solo per il futuro tedesco ed europeo, ma altresì di tutto il sistema delle relazioni internazionali e del complesso del confronto di potenza che si avvicina sempre più a un tornante trasformativo decisivo. Le elezioni di medio termine negli Usa si svolgono non a caso nello stesso plesso di tempo e non vi è dubbio alcuno che le sanzioni imposte nei confronti dell’imperialismo russo aggressore dell’Ucraina dagli Usa e dall’Ue per ampliare il nesso di dominazione transatlantico fanno da sfondo a questo viaggio.
Con il cancelliere una coorte di tutte le imprese industriali e finanziarie che costituiscono i punti archetipali di quel capitalismo teutonico-russo-cinese che si trova sotto scacco per le contraddizioni interne al dominio oligarchico e ortodosso russo. Contraddizioni che scaturiscono dall’ossessione russa sia per l’accerchiamento secolare da cui Mosca si sente minacciata, sia dalla condanna all’espansione territoriale che da ciò – sempre secolarmente – deriva.
Dall’instabile unità di tre nazioni culturali (la russa dominante e l’Ucraina e la Bielorussia dominate) realizzata da un impero in profonda crisi – prima era quello zarista a partire dalla guerra vittoriosa con la Svezia, poi quello sovietico che si è disfatto senza una goccia di sangue ma con un declassamento verticale, oggi quello putiniano sorto come reazione allo sfregio eltsiniano-nordamericano concretatosi con l’inclusione della Cina nella Wto nel 2001 e della Russia nella stessa organizzazione solo nel 2011 – si è arrivatati alla vertigine imperiale aggressiva contro una delle tre nazioni fondatrici della Russia (l’Ucraina) e alla rottura di una pace precaria che già si preannunciava con i massacri balcanici della fine dello scorso secolo.
Scholz sfida con questo viaggio non la Russia – come vorrebbero con le sanzioni economiche gli Usa, la Nato e l’Ue -, ma direttamente gli Usa e la versione dei nuovi imperialismi delle rivoluzioni di Kondratiev del digitale, della motorizzazione a scoppio e della green economy – ché tutte iniziano dalla lotta per la conquista dello spazio con gli spillover tecnologici che ne conseguono. L’altra versione è quella nordamericana e cinese che ha per asse certo l’industria come quella di scaturigine teutonica, ma soprattutto la leva finanziaria e la disgregazione regolatrice dall’alto dei mercati che ne è derivata.
Handelsblatt, il giornale della Confindustria tedesca, segue con partecipazione il viaggio e invia segnali di fumo di significazione e di mascheramento insieme dello scontro in atto. Colpiscono gli articoli di denuncia del controllo che il Partito comunista cinese vuole insinuare nelle stesse imprese tedesche operanti in Cina. Ma si tratta non di una protesta, ma della significazione che in Cina si vuol rimanere e che si vuol contare con tutti i sistemi valoriali dell’organizzazione industriale tedesca: una sorta di civiltà, quella tedesca, del lavoro capitalistico assai più pervasiva del consumismo Usa e del suo nichilismo finanziarizzato.
Lo scontro che si profila sarà epocale e tremendo. L’Italia sembra su una nuvola. C’è un nuovo Governo che significa il ritorno della politica, quale colore essa assuma. Ma la politica nazionale inizia dalla collocazione internazionale che si pensa sia più adeguata per perseguire il definito interesse nazionale prevalente. È questa definizione che ci attendevamo dal nuovo Governo.
Insomma, un grande compito attende il nuovo ministro degli Esteri Tajani: uomo del Ppe con ottimi rapporti con i cugini tedeschi, deve far sentire non tanto la sua voce – autorevolissima -, ma in primo luogo dell’Italia, chiamata a durissime prove in un orizzonte di grandi scontri epocali tra i nuovi imperialismi del secolo che viene dinanzi a noi ogni giorno diverso.
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