La guerra tra la Cina e la Russia che iniziò nel marzo 1969 e durò sino alla fine di quell’anno si concluse, di fatto, senza vinti e vincitori, ma determinò il più rilevante cambiamento nella politica internazionale dopo la Seconda guerra mondiale. Mao (secondo ciò che si narra il quel piccolo capolavoro che rimane il libro del 2005 di John Lewis Gaddis The Cold War: A New History), confidandosi con il suo medico personale, Li Zhisui, disse: “È un’antica strategia cinese: negoziare con i Paesi lontani, mentre combattiamo con quelli vicini”.
E, seguendo Zhou Enlai, così seguitò: “Noi abbiamo l’Unione Sovietica a nord e ovest, l’India a sud e il Giappone a est. Se tutti ci dovessero attaccare insieme, Lei cosa pensa che dovremmo fare? L’unica soluzione è quella di guardare al di là del Giappone”. E lì ci sono gli Stati Uniti. Inizia l’apertura della Cina comunista agli Stati Uniti, con i colloqui Nixon-Kissinger, apertura che culmina con la creazione storico-concreta di ciò che oggi chiamiamo il capitalismo monopolistico a dittatura tecno-terroristica cinese, capitalismo che in verità è stato costruito di fatto da quei “Paesi lontani” a cui Mao e Zhou Enlai guardavano dopo lo scontro dell’Ussuri.
Oggi potrebbe aprirsi una nuova era: quella dell’integrazione del capitalismo monopolistico di Stato russo con ciò che rimarrà del rapido disgregarsi del nord americano-tedesco capitalismo monopolistico tecno-terroristico di Stato cinese, disgregazione che avanza impetuosamente. Il problema è che si uniranno in tal modo due debolezze, demografiche e politiche, e proprio per questo potenzialmente aggressive. Politiche perché in entrambi verrà a confliggere il principio del monopolio del partito unico in Cina e dell’autoritarismo “modello Franco-Salazar” (come ci insegnò Juan Linz) in Russia. In ogni caso le rispettive borghesie che entrambi in forme diverse hanno favorito e ampliato entreranno in conflitto con il monopolio politico del partito e le rispettive poliarchie entreranno in crisi.
Il caso russo è ancora più complesso di quello cinese perché il suo avvicinarsi alla Cina, un avvicinamento che prosegue giorno per giorno, come dimostrano le relazioni tra le due nazioni, è frutto – ecco che cosa sono le relazioni internazionali – di ciò che accade nel Mar Baltico e nei Balcani prima che nell’Oceano indo-cinese e in primis in quel plesso strategico, per lo zarismo prima e per la Russia autocratica oggi, che è l’Ucraina e soprattutto la Crimea. Le basi russe in Crimea, come quelle in Siria, consentono al gigante in crisi post-Urss di bagnare un piede nel lago atlantico mediterraneo, mentre l’altro si bagna nell’Indo-Pacifico. Era questa potenza euroasiatica che Mao e Zhou Enlai temevano e che ora riappare.
Infatti, la Cina pare destinata ad allearsi alla Russia per compensare la crisi che la colpisce nell’Indo-Pacifico per la ripresa del contenimento intrapreso dagli Usa, dall’Australia, dalla Gran Bretagna, dalla Francia e dal Giappone, come dimostra il riallineamento di queste nazioni in funzione anti-cinese.
In Europa la questione è tutta diversa e potenzialmente gravida di “conseguenze filocinesi”, se il conflitto tra Ue e Russia si amplierà. La Russia è di fatto spinta nelle braccia della Cina per due ordini di motivi. Il primo è essenzialmente politico e risiede nella rilevanza che tra le nazioni che fanno parte della Nato hanno via via assunto le nazioni confinanti con la Russia, in primis la Lettonia tra quelle baltiche, che non a caso ha recentemente reso manifesto il timore che il dispiegamento delle forze armate russe al confine bielorusso provoca tra tali nazioni, da sempre oggetto di dominio prima svevo, poi tedesco e polacco e, infine, russo.
E la stessa cosa si può dire per via dell’incapacità, tedesca in primo luogo e dell’Ue di seguito, di comprendere dove risieda il vero dramma balcanico. Un tema che mi disvelò il compianto amico Gianni De Michelis quando, nel corso di una nostra conversazione, ricevuta che ebbe una telefonata internazionale, scoppiò a piangere dinanzi a me, dicendo: “La Germania ha riconosciuto la Croazia: sarà un bagno di sangue”. Era il tempo della disgregazione della Jugoslavia. Così fu perché i serbi nazionalisti in ciò trovarono la brace con cui poter accender il fuoco nella prateria della bestialità nazionalista aggressiva. Così oggi può accadere in Montenegro e in Bosnia. E dinanzi alle braci, l’Ue non ha di fatto saputo far nulla per onorare i morti rielaborando una strategia di superamento degli storici conflitti. Certo, spesso alimentati dalla Russia, con cui tuttavia si dovrebbe agire sul piano della ricerca di un concerto internazionale regionale che riconosca la necessità russa di uno spazio di manovra nei mari caldi. Verso i quali la Russia ha da sempre diretto la sua espansione da secoli e verso i quali deve essere accompagnata per trasformare un moto potenzialmente aggressivo in un moto di stabilità, come di fatto si è reso manifesto in Siria, bilanciando l’espansionismo turco e la drammatica e guerrafondaia imperizia Usa.
La politica del muro contro muro e il non riconoscimento della necessità di non isolare la Russia condurrà alla conclusione di un patto russo-cinese assai più solido di quello che oggi si va configurando? Non è possibile dar oggi una risposta, ma è certo che se agli errori del passato si aggiungeranno quelli che si profilano sempre nel Mar Baltico, bloccando il gasdotto Nord Stream 2, allora il danno sarà irreversibile. Le regole dell’unbalding non possono essere imposte alle companies russe che non fanno parte dell’Ue. Del resto, uno strumento fondamentale per non alimentare la crescita del prezzo del gas potrebbe essere quella di riallinearne i prezzi nuovamente ai contratti take or pay, che consentono una programmazione di lungo periodo e soprattutto di sfuggire alle variazioni speculative tipiche degli attuali “prezzi spot” che l’Ue vuole mantenere a tutti i costi, favorendo in tal modo la rendita finanziaria anziché il profitto industriale.
L’ossessione ideologica che domina l’Ue e la Germania non potrà che portare non solo a una nuova ondata di fanatismo, ma anche a un allontanamento irreversibile della Russia dall’Ue e anche dall’Europa, spingendola di fatto nelle braccia della Cina. Il che sarebbe il delinearsi di un profilo catastrofico della nuova situazione internazionale.
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