I giudici di Karlsruhe della Corte Costituzionale tedesca hanno ritenuto che il programma di acquisti dei titoli di Stato della Bce non sia un finanziamento diretto agli Stati e quindi debba rispettare il divieto di monetizzazione dei debiti pubblici nazionali, accogliendo il ricorso di quanti ritengono che si violi il mandato della Bce non rispettando il principio di proporzionalità. Il segnale, più che alla Bce, è inviato in linguaggio morse marittimo alla Corte di giustizia dell’Unione europea, che aveva ritenuto possibile il comportamento dell’Eurotower. La Bce, sostengono invece i giudici tedeschi, deve chiarire le ragioni economiche che hanno giustificato il programma, sennò la Bundesbank potrebbe vendere i titoli in suo possesso e uscire dal programma di acquisto. Il Governo e il Parlamento tedeschi debbono, dicono i giudici, vigilare sulla Bce.



La Commissione europea, presieduta da una tedesca e il che va sottolineato, ha dichiarato: “Riaffermiamo la primarietà del diritto Ue e il fatto che le sentenze della Corte di Giustizia dell’Ue sono vincolanti per tutte le corti nazionali”, mentre in una sua nota la Bce ribadiva di “restare impegnata a fare tutto il necessario nell’ambito e nei limiti del suo mandato”.



Il Public Sector Purchase Programme (Pspp), programma di acquisto di titoli pubblici – il famoso “Bazooka” – provocherebbe effetti economici “sproporzionati” rispetto ai mandati di politica monetaria e controllo dell’inflazione entro cui la Bce deve operare. La Bce, non può superare nei suoi acquisti di titoli pubblici da ogni Paese dell’Eurozona, la quota di capitale che ogni Paese detiene nella Bce stessa.

Questa sentenza della Corte tedesca era scritta di già, da sempre, nei trattati che regolano l’Ue e quindi può sorprendere solo i cantori che non sanno il latino con cui sono scritti i canti liturgici; come accadeva, del resto, a quasi tutti coloro che seguivano la Santa Messa prima della riforma che ne volgarizzò la lingua.



Quindi c’è poco da lamentarsi. Le regole son state ben scritte e secondo logica lo scorpione tedesco ne vuole il rispetto, anche se la rana su cui si fa portare nello stagno, con la morte per la puntura del pungiglione, lo trascina con sé.
Pacta sunt servanda. Come non accorgersene? Eppure nessuno se è accorto sino ai tempi pandemici

È ora che ci se ne accorga, perché con la pandemia inizia anche una trasformazione della formazione economico-sociale europea che si avvia inevitabilmente ad assumere le sembianze della formazione economico-sociale sudamericana. Anche il Sud America è un continente dualistico come oggi sta divenendo l’ Europa.

C’è un Sudamerica guidato da Cile e Uruguay, con politiche economiche simili all’ordoliberismo, e ce n’è un altro, con Venezuela e Bolivia, più orientato verso il dirigismo post-cubano, con tutti gli altri collocati in qualche punto tra le due vie; taluni come Brasile e Perù più vicini alla prima, altri, come Argentina e Colombia, in bilico tra le due, e altri ancora, come Paraguay ed Ecuador, più attratti dalla seconda.

Antiche piaghe e boom economico settoriale solo per le classi alte, quelle che Peter Temin definisce delle FTE, ossia della Financial Tecnological Enterprise. In Sud America anche del Mining e dell’Oil and Gas. In ogni caso tutta l’economia della regione sudamericana è piombata, tra il 1999 e oggi in una fase di piatta stagnazione o addirittura, come l’Argentina dal 2001, in una crisi dai contorni drammatici. Da allora, però, e fino al 2008, la crescita economica è stata, a tratti sostenuta e costante, ma sul finire del decennio in corso, infine, le nuove turbolenze che hanno investito l’economia mondiale a seguito della crisi finanziaria statunitense hanno messo a dura prova le economie del Sudamerica, misurando la consistenza di quanto edificato negli anni di prosperità e obbligandole a fare dei bilanci impietosi.

La crescita economica del Sudamerica, quando è avvenuta, tuttavia, si è fondata, come sempre, grazie a particolari circostanze esterne: alla crescita mondiale, agli alti prezzi delle materie prime, alle condizioni finanziarie propizie sui mercati internazionali: è un’economia dipendente. Come lo è l’Europa tutta dalla Germania. Il Sud America, infatti, è comunque cresciuto meno e mantiene una produttività più bassa delle altre aree emergenti del globo.

Anche gli altri indicatori economici fanno dubitare che le cose siano diverse rispetto al passato: la spesa pubblica è cresciuta altrettanto rapidamente e solo una minima parte di essa, appena la metà di quella asiatica, consiste in investimenti, e la bilancia dei pagamenti dell’area, qualora si sgonfiassero i prezzi delle materie prime, piomberebbe all’istante in un nuovo deficit, con relativa vulnerabilità agli shock esterni. Vista così, l’economia sudamericana assomiglia paurosamente a quella europea e viceversa.

Nonostante una crescita economica trainata dall’economia globale, il primo decennio del XXI secolo verrà ricordato, in Sudamerica, per la diffusa contestazione del modello economico neoliberista. Le reazioni al modello neoliberista sono state molto radicali per le conseguenze disastrose sul piano sociale: aumento dell’economia informale e del lavoro nero, sradicamento dei piccoli coltivatori, aggressioni alle risorse biodiversificate, disoccupazione di massa, segregazione urbana con ghettizzazione di intere cassi sociali deboli sui mercati. Le disuguaglianze non fanno che aumentare sotto l’impetuoso avviarsi ciclico di un’inflazione che è certo l’opposto della deflazione europea, ma che ha le stesse conseguenze dilaceranti: abbassamento del tasso di profitto capitalistico, aumento delle rendite finanziarie, segregazione sociale con la povertà assoluta, distruzione dei piccoli agricoltori e aumento della piccola criminalità e delle grandi mafie narcotrafficanti.

Circa il 30% dei sudamericani, pari a circa 120 milioni di persone, risultava povero nel 2018. Guardando più da vicino le singole realtà nazionali, si notano naturalmente enormi differenze da uno Stato all’altro, dal momento che rispetto a Paesi come Cile, Uruguay e Argentina, dove i poveri non superano il 20% della popolazione, si collocano, all’estremo opposto, i casi di Paraguay e Bolivia, dove i poveri oltrepassano il 50%; con Brasile e Venezuela più vicini al primo blocco e Perù, Colombia ed Ecuador al secondo.

L’America Latina per sperequazioni sociali è sempre stata e continua a essere la prima della graduatoria mondiale. Tipico dell’America Meridionale rimane il fenomeno dei lavoratori poveri, cioè di individui che hanno un’occupazione ma non riescono a vivere del lavoro, il quale non garantisce loro salari sufficienti per sostenere sé stessi e le proprie famiglie.

Tutto ciò è il frutto che ora appare chiaramente della sregolazione finanziaria, provocata dalla cattura ideologica e pratica dell’internazionale socialista europea e nordamericana (le famiglie Blair e Clinton), da parte dell’oligopolio finanziario. Essa ha posto le basi su scala mondiale di un’instabilità crescente dei mercati e delle stesse grandi corporation, minacciando il potere compulsivo degli Stati nazionali. Essi stanno disgregandosi. Non è il federalismo che si è inverato, come dimostrano tanto l’Europa dell’Ue quanto il Sud America, uniti nel medesimo destino. Oggi tutto ci appare chiaro. È una nuova storia del mondo che inizia.

Inizia con il dilaniarsi per disgregazione sociale degli Stati nazionali uno per uno investiti dall’ ordoliberismo e dall’economia duale finanziarizzata, come ci insegna Peter Temin.

La Germania disgrega e divora lentamente, infatti, ma inesorabilmente, tutta l’Europa. Questo, gli Usa non possono permetterlo. O, almeno così dovrebbe essere. Ma, ciò non di meno, non riescono ad arrestare la forza disgregatrice germanica. Ciò che un tempo faceva l’Inghilterra nei confronti dell’equilibrio di potenza europeo, ora dovrebbero fare gli Usa, che per far ciò debbono continuamente, ricercare di rafforzare la base economica e le finalità strategiche della Nato.

Se a tutto ciò aggiungiamo che da questa disgregazione dell’ordine internazionale non ha potuto non emergere l’unica potenza euroasiatica esistente nel mondo, ossia la Russia, comprendiamo che le tendenze disgregatrici continuano, mentre, grazie alla nuova presenza internazionale russa, esse potrebbero, invece, trovare un argine. L’argine contro il predominio tedesco alleato della Cina, come ci dimostra ogni giorno la storia recente, e su cui ho detto molte volte come stanno le cose, è solo in una nuova alleanza Usa-Russia. Il mondo riacquisterebbe il suo equilibrio possibile anche per la crescita solo se a questa alleanza strategica si unisse un’Europa non più dominata dalla Germania.

Perché? Perché la Russia è costretta a occuparsi dell’Heartland e del Rimland, ossia di quelle terre che si affacciano, appunto, sui mari del Pacifico e del Mediterraneo – lago atlantico – da cui si domina il mondo e l’Europa dovrebbe continuare a essere il centro della resistenza della civiltà contro la barbarie cinese.

Per capire che fine faremo dopo la pandemia bisogna iniziare a camminare per un pellegrinaggio: da Karlsruhe alla fine del mondo.

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