Prima la Svezia poi l’Ucraina. La Nato si sta sempre più allargando verso Nord-Est mentre assiste alla decomposizione dell’impero russo, secondo un trend iniziato con Stalin nel dopoguerra, proseguito fino alla caduta del muro di Berlino e sfociato ora nell’invasione dell’Ucraina. Quello che si sta definendo in Occidente, invece, è un ritorno agli equilibri degli anni appena successivi al conflitto tra il 1939 e il 1945: gli Usa che dettano la linea e l’Europa che li segue.
Quasi negli stessi giorni in cui l’Alleanza atlantica accusa la Cina di voler sovvertire l’ordine internazionale, cosa che ha fatto nel documento finale del vertice di Vilnius, il segretario del Tesoro Usa Yellen si è recata a Pechino per rivendicare il diritto degli Stati Uniti di decidere la linea dell’Occidente e portando un ramoscello d’ulivo. L’Unione Europea, in questo contesto, non ha spazio per una sua autonomia ma si pone nella scia degli americani. Ma c’è un’altra importante area che la Nato considera strategica, quella del Mediterraneo allargato. E qui, osserva Giulio Sapelli, economista, professore emerito di storia economica alla Statale di Milano, l’Italia può giocare un ruolo importante. Dopo che gli Stati Uniti hanno perso la faccia in Iraq e in Siria, il nostro Paese può cercare di ridare credibilità all’Occidente, in Africa e non solo.
Secondo la Nato l’Ucraina non rinuncerà neppure alla Crimea: vuol dire che non c’è spazio per negoziare la pace?
Uno dei due attori non può cominciare a dire che è pronto a concedere all’altro quello che gli pare. Da che mondo è mondo davanti ai sostenitori, davanti alle forze armate si mostra il viso di chi deve combattere, mentre ci sono gli “sherpa”, altri attori, che negoziano. Basta leggere Machiavelli: sia la politica che la diplomazia non hanno nulla a che vedere con la verità.
In attesa di sapere come si evolverà la guerra in Ucraina, la Nato si è allargata alla Svezia: quanto pesa in termini geopolitici questa nuova entrata? Se consideriamo anche la futura adesione di Kiev, vuol dire che i rapporti con la Russia rimarranno un problema per molto tempo?
Quello a cui stiamo assistendo è la decomposizione dell’impero russo, cominciato il giorno dopo che Stalin, arrivando a Berlino, ha vinto la seconda guerra mondiale. Già nel 1952 gli operai tedeschi protestavano contro il dominio sovietico. Poi nel 1956 i carri armati sono arrivati in Ungheria, negli anni 60 c’è stata la Primavera di Praga, quindi il muro di Berlino: quella a cui stiamo assistendo è la lenta decomposizione dell’impero sovietico, che era sembrato risorgere quando Putin ebbe uno scatto di orgoglio nazionale contro la depredazione con cui il capitalismo finanziario anglosferico, aiutato dalla famiglia Elstin e dai vari banchieri internazionali, stava distruggendo la Russia. Per una decina d’anni ci sono state proposte serie di far entrare la Russia nella Nato e nell’Unione Europea.
Poi cosa è successo?
L’Occidente non ha rispettato il patto che avevano preso informalmente Gorbaciov e Bush padre, secondo il quale nessun Paese confinante con la Russia avrebbe mai potuto aderire alla Ue e alla Nato. Gli americani, che sembravano voler integrare Putin, fecero tutto il contrario, allarmando l’oligarchia russa, che cominciò a invadere imperialisticamente prima la Georgia e poi l’Ucraina. Oggi assistiamo a un conflitto interimperialistico tra due potenze borghesi, quella russa e quella ucraina, quest’ultima appoggiata da tutta l’anglosfera, soprattutto dagli americani, che in questo modo vogliono mettere a posto non solo l’Ucraina, ma soprattutto la Germania. Vogliono far capire che in Europa comanderanno loro e non comanderanno più né i tedeschi né i francesi. Sicuramente gli Usa non possono continuare a fare la guerra: non riescono neppure a produrre abbastanza munizioni per rifornire l’Ucraina.
Ma l’Europa così andrà semplicemente al traino degli Stati Uniti?
Quello che sta accadendo significa la fine dell’Europa raccolta intorno all’Unione Europea. L’Europa è fatta da Francia, Spagna, Germania, Italia, Belgio, Olanda, poi c’è l’Unione Europea, che non è riuscita neppure a fare un esercito europeo. Non c’è più la Ue, è sotto l’ombrello della Nato.
Quindi chi decide la politica europea è la Nato?
Sì. O meglio gli Stati Uniti alleati soprattutto con la Polonia e le potenze prima dominate dall’impero sovietico. Non a caso il vertice dell’Alleanza si è svolto a Vilnius.
Che ruolo hanno Turchia e Gran Bretagna in questo contesto?
La cosa che può avere conseguenze non previste è il fatto che in questa operazione si è dovuta integrare nella Nato, molto più di quanto fosse prima, la Turchia, che vorrà qualcosa in cambio: ha ambizioni imperiali. Questo potrà creare qualche problema ad americani e inglesi. Anche la Gran Bretagna è tornata con grande forza, rimane una grande potenza anglosferica e una grande potenza militare: l’addestramento dei soldati ucraini avviene in Gran Bretagna. È un avviso che si dà alla Cina: gli inglesi sono pronti a battersi al fianco degli Usa.
La Cina, intanto, viene accusata dall’Alleanza atlantica di voler sovvertire l’ordine internazionale. Poi, però, si apre alla possibilità di dialogo. Qual è il vero obiettivo?
Mentre si sbraita con la Cina dicendo “Adesso basta con i russi”, Janet Yellen, segretario del Tesoro Usa, va a Pechino dicendo di portare “un ramoscello di pace”. Quello che gli americani vogliono è imporsi e decidere quali relazioni tenere con la Cina. La battaglia in corso non è per isolare la Cina, ma per stabilire chi decide come ci si deve comportare con i cinesi. Il messaggio della Yellen all’Europa è questo: “Con loro fate quello che vogliamo noi”. Adesso andranno dalla Meloni e riscriveranno il patto concordato in precedenza per la Via della Seta.
C’è un’Europa a sovranità limitata?
Certamente: si torna a una situazione post seconda guerra mondiale, senza l’Unione Sovietica.
La Ue può uscire in qualche modo dalla morsa degli Usa?
Assolutamente no. L’Europa non deve farsi venire il mal di pancia, deve bere questo calice. L’Unione Europea non esiste più, esiste una tecnocrazia che domina gli Stati europei. E lo si vede dal fatto che non hanno più la politica. Forse l’unico Paese che ce l’ha è l’Italia, ma ha una politica di cui, purtroppo, vediamo le manifestazioni. Macron ha distrutto i partiti, Sánchez è riuscito a distruggere il sistema politico spagnolo, Rutte dopo aver dominato dieci anni in Olanda è stato cacciato.
E se con le prossime elezioni cambiasse la classe politica?
Non si vede all’orizzonte un partito politico decente. Abbiamo davanti a noi un lungo deserto da attraversare, dominati da una tecnocrazia boriosa. Abbiamo già avuto Monti, poi Draghi: la abbiamo già vista all’opera.
Nel vertice della Nato si è parlato del Mediterraneo allargato come area strategica. C’è un rinnovato interesse per questa zona?
Dopo l’intervento in Iraq e in Siria credo che gli americani abbiano capito che non hanno più credibilità in quei Paesi e che affidino all’Italia un ruolo importante, che dobbiamo essere in grado di svolgere nella grande tradizione di Andreotti, Moro e La Pira. Paradossalmente il Paese che può avere un’iniziativa autonoma è l’Italia perché c’è il canale di Sicilia.
Quindi l’Occidente cercherà di recuperare la sua credibilità nell’area attraverso l’Italia?
Sì. E noi dovremo essere bravi per sfruttare tutte le possibilità che ci sono aperte e che sono immense. Basta avere una intelligenza diplomatica e strategica di lungo periodo.
Puntando su cosa?
Puntando sull’Eni, sulle relazioni commerciali, sulle migliaia di nostri piccoli imprenditori che sono in Tunisia, in Marocco, in Egitto, che sono stati in Libia. Gran parte dei quadri dell’esercito e dell’aviazione congolesi parla italiano perché avevamo avuto dall’Onu l’incarico di addestrarli. Il prestigio che l’Italia ha in Africa è ancora immenso, nonostante i fascisti e il generale Graziani. Quello che abbiamo fatto nel secondo dopoguerra grazie a Mattei e ai nostri piccoli e medi imprenditori ha una importanza che dura tuttora.
Potremmo anche migliorare i flussi migratori?
Per migliorarli bisogna emancipare il Congo: è grande come l’Europa e ha 70 milioni di abitanti. Se ci fosse un piano Marshall non per l’Africa, ma per il Congo, dove c’è una presidenza abbastanza intenzionata a rimettere ordine, quel Paese diventerebbe un centro di attrazione di tutte le popolazioni africane. Ma bisogna sapere cosa è l’Africa, e in pochi lo sanno.
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