Nessuno spiraglio possibile e neppure ipotizzabile. Sono ormai più di tre mesi che la Russia di Vladimir Putin ha varcato le frontiere dell’Ucraina portandovi morte e distruzione. L’invasione di una grande potenza prefigura in genere una sorta di blitz, con relativo ricambio di governo del Paese soccombente e la ridefinizione, o la ripetizione, di rapporti di forza simili ai precedenti. 



Giorno dopo giorno, giunti appunto al quarto mese di guerra, sembra inutile qualsiasi tentativo diplomatico che porti alla conclusione di questa tragedia e invece diventa sempre più aggressiva “sul campo” la battaglia in Ucraina e sempre più ampia  la sfera degli argomenti che allontanano persino una breve tregua, almeno un “cessate il fuoco” di pochi giorni per sedersi a un tavolo di trattative limitate.



A questo punto, è persino inutile ricordare le responsabilità di molti anni passati a cullarsi in una globalizzazione rivelatasi catastrofica, agli errori di analisi, alle omissioni e alla superficialità. I tre mesi di guerra imposti dalla Russia si stanno rivelando una lunga, forse lunghissima guerra di logoramento con contraccolpi mondiali che non sono ipotizzabili se non con un segno estremamente negativo, prima che di cambiamento e di eventuale nuovo assestamento geopolitico.

Solamente negli ultimi tre giorni, le dichiarazioni dei protagonisti principali o secondari dello scontro sono diventate sempre più pesanti e più  gravi. Sia Putin, sia il ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, hanno ribaltato ogni responsabilità del conflitto e delle sue conseguenze sull’Occidente, in modo più radicale che all’inizio dell’invasione.



Il leader ucraino Volodymyr Zelensky ha risposto ai russi con più forza che mai in passato: qualsiasi trattativa può incominciare solo con il ritiro delle truppe russe dai territori occupati, Crimea e Donbass compresi, inglobati da Putin nel 2014. Non solo: Zelensky continua a chiedere aiuto, armi soprattutto, all’Occidente, ma comincia anche a lanciare accuse ai Paesi occidentali che si dimostrano incerti, divisi o contrari ad aiutare gli ucraini.

Poi ci sono gli americani, che aspettano solo la caduta del regime di Putin, con durissime dichiarazioni di Joe Biden. Quindi c’è l’Unione Europea che, attraverso le parole di Ursula von der Leyen,  si pone l’obiettivo della “vittoria strategica dell’Ucraina”.

Mancavano, ma sono arrivate puntualmente, le prese di posizione contrapposte e durissime dei cinesi, di Xi Jinping e di altri esponenti, contro gli americani per la questione di Taiwan. E la risposta senza fronzoli di Biden: “Se i cinesi attaccano Taiwan, gli Stati Uniti interverranno militarmente”.

Mettendo in fila tutte queste dichiarazioni c’è da rimanere esterrefatti per l’escalation militare in Ucraina e quella anti-diplomatica, che riguarda tutto il mondo, tra i maggiori protagonisti della “grande crisi” geopolitica, che in questo momento sostituisce la globalizzazione tanto sperata. 

Impossibile pensare a una soluzione concreta e credibile, anche attraverso lodevoli telefonate di leader europei, al punto che non si può mai escludere che questa escalation nella “guerra di logoramento” possa provocare un incidente che può portare a un conflitto molto più allargato.

Lo stesso realismo di Henry Kissinger, di fronte a una simile confusione, sembra quasi la scoperta dell’acqua calda.

È indubbio che a un tavolo di trattative ci sia la necessità di rinunce reciproche e che quindi anche Zelensky se ne debba rendere conto. Ma il clima che si respira ovunque è di una battaglia lunga e senza fine, di una guerra di logoramento dove i principali protagonisti sperano in un errore dell’avversario per azzannarlo. 

“Sul campo” il leader ucraino parla di perdite di 50 o 100 uomini al giorno, mentre i russi tacciono sulle loro perdite che sarebbero paragonabili, secondo l’intelligence inglese, alle perdite di anni durante la guerra in Afghanistan.

Aggiungiamo altre considerazioni relative a quanto succede all’interno della Russa e all’interno dell’ Ucraina. In Russia si può anche credere che secondo i sondaggi statali l’80 per cento stia con Putin, ma ci sono voci di giovani che non si presentano alla leva, di critiche che vengono da ambienti militari e, soprattutto nelle grandi città, non tutto fila liscio come vuol far credere la televisione russa.

Ma anche il popolarissimo Zelensky in Ucraina ha i suoi oppositori. Nel momento in cui accettasse una trattativa o una tregua partendo da una rinuncia territoriale, dovrebbe fare i conti con gli ucraini che ormai covano un risentimento e un rancore  verso i russi che durerà per anni e generazioni.

Intanto, perduto il blitz iniziale, i russi avanzano con maggior vigore, ma non di molto e, in tutti i casi, la resistenza ucraina è di tale portata che costringe i russi alla devastazioni di intere città, a nuove Mariupol nel Donbass e probabilmente a sacrifici maggiori quando inglesi e americani manderanno armi migliori e più sofisticare all’Ucraina.

A tutto questo si aggiungono le ripercussioni economiche che il conflitto sta creando. Altro che problema del gas e del petrolio, che ovviamente esiste; ma all’orizzonte sta profilandosi una crisi alimentare che viene ad aggiungersi a quella delle esportazioni di materie prime. Con tutta probabilità sta affacciandosi una guerra di logoramento che si basa sulla resistenza ai gravi problemi economici di ogni tipo che si profilano all’orizzonte in tutti i Paesi del mondo. 

Secondo un’interpretazione storica largamente condivisa, quando in Russia crolla un regime, crolla inevitabilmente anche lo Stato. Questo Putin e il suo quartier generale lo sanno bene e questo spiega la loro resistenza e il rifiuto al momento di ogni tentativo di mediazione e quindi di trattativa. Ma anche nell’Europa occidentale, con il prossimo Consiglio europeo occorrerà prendere decisioni su nuove sanzioni e sulla questione del petrolio.

Probabilmente per vedere quanto durerà questa guerra di logoramento occorrerà aspettare ancora diverso tempo e abituarci, nel migliore dei casi, a momenti di tregua in una situazione comunque belligerante. Una sorta di guerra strisciante o endemica, che ricorda Cipro degli anni Settanta o la tregua tuttora vigente in Corea. Ma qui in Europa sarebbe una guerra di logoramento suicida.

Se al contrario questa stessa guerra di logoramento non avrà la forza di reggere nemmeno dopo la conquista militare dell’intero Donbass da parte dei russi, il pericolo è che l’ultima carta disperata sia quella di un autentico scontro tra Oriente e Occidente, quello che venne chiamato all’inizio degli anni duemila uno scontro di civiltà.

Meglio, in una situazione talmente bloccata, toccare ferro e non azzardarci in previsioni.

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