Beppe Grillo al primo appello lanciatogli da Nicola Zingaretti non aveva risposto, ma quando il segretario del Pd ha minacciato l’accordo con la Lega per una legge elettorale con il maggioritario, il fondatore si è precipitato a Roma e ha pronunciato un audiovisivo “vaffa” questa volta non agli altri partiti, ma al suo, alla democrazia diretta, al 70 per cento che ha votato No al referendum Rousseau e ai parlamentari dissidenti. Ha quindi ristabilito – sia pur condizionandola – la leadership Di Maio e soprattutto ha rilanciato l’intesa con il Pd, tanto che già si ipotizza una correzione del voto referendario per riproporre almeno in Emilia un accordo con il Pd. 



Pd e M5s tentano così di tenere in piedi il governo con l’obiettivo di arrivare almeno fino all’elezione del Presidente della Repubblica. Si tratta di vedere se le difficoltà incontrate siano contingenti e solo occasionali oppure strutturali e destinate a ripetersi e approfondirsi.

La maggioranza giallo-rossa era nata con due obiettivi: sgonfiare Salvini e dar vita a una coalizione che potesse battere il centro-destra. In poche settimane il disegno è però entrato in crisi. La convinzione che Salvini, senza il ruolo di protagonista sulla scena governativa e confinato nella platea di opposizione, perdesse quota, era fondata, ma ben presto il Conte 2 si è rivelato più rissoso e inconcludente del Conte 1. Non si erano mai visti premier e ministro dell’Economia perdere in questo modo le redini della manovra finanziaria. Si è mandato a Bruxelles un testo che poi il governo ha continuato a cambiare in modo disordinato con provvedimenti imposti a strattoni ora da questo ora da quello. Quindi si è mandato in Parlamento un nuovo testo accompagnato da centinaia di emendamenti da parte di ognuno dei quattro partiti di governo per un totale di circa 4.550 che non ha precedenti nell’Italia repubblicana.



Di fronte a immobilismo e confusione in campo governativo, Salvini, che era cominciato a scendere nei sondaggi, è ora tornato a crescere e il centro-destra si è ricompattato. In aggiunta l’ipotesi di alleanza elettorale Pd-M5s è stata bocciata prima nelle regionali in Umbria e poi nel voto interno ai grillini su Rousseau.

La speranza del Pd era di “romanizzare i barbari” e cioè che ormai i Cinque Stelle avessero perso i voti di destra e fossero diventati un nuovo partito di sinistra. Beppe Grillo ora incoraggia, anzi sanziona questa ipotesi. Ma il Pd rischia di apparire “grillizzato”.



Il M5s che Grillo ha delineato come “nuova sinistra” che genere di sinistra sarà? Con i 5 Stelle protagonisti della legislatura dal marzo 2018 il risultato è un’Italia che appare in caduta libera: superata dalla Spagna come ruolo decisionale nell’Unione Europea, peggio della Grecia come spread nei mercati finanziari, sul punto di perdere il secondo posto come industria manifatturiera in Europa a favore della Francia. Al ministero dello Sviluppo economico tutte le vertenze dal marzo 2018 sono rimaste aperte. In politica estera l’Italia diserta il G20, non osa aprire bocca sulla repressione a Hong Kong (e in Iran), si dimentica della Libia e si fa tagliare fuori dalle iniziative francesi.

I Cinque Stelle più perdono, più si dividono, più si estremizzano.

A sua volta il Pd che ha puntato su Conte come nuovo Prodi per una sorta di riedizione dell’Ulivo è apparso molto disorientato nella recente convention di Bologna. Zingaretti si è presentato come leader che chiudeva con la stagione “neoliberale” di Renzi, per un Pd più a sinistra: una sorta di “populismo di sinistra” come lo ha definito il costituzionalista e parlamentare Pd Stefano Ceccanti. E infatti nel Pd è stata archiviata la polemica degli ultimi decenni contro populismo e antipolitica. Anzi l’antipolitica è stata fatta propria con il movimento delle “sardine”. Nel complesso Pd più a sinistra e M5s nuova sinistra non sembrano preoccupati della penetrazione del centro-destra nei ceti medi e popolari che si sentono impoverire.

È ora da vedere, già nelle prove elettorali di gennaio, in che misura gli elettorati si sommeranno e quanta competitività ha questa alleanza tra il Pd più a sinistra e il M5S nuova sinistra. Si delinea in Italia forse una resa dei conti tra due schieramenti che entrambi cavalcano l’antipolitica.

Non è una bestemmia da parte degli ex comunisti. In un certo senso il fondatore dell’antipolitica fu proprio lo stalinista Willi Munzemberg, il capo della propaganda del Komintern in Europa tra gli anni venti e trenta. Con il regista sovietico Eisenstein realizzò due film – Sciopero e La corazzata Potemkin – in cui la protesta operaia e la rivolta dei soldati maturavano e esplodevano in modo spontaneo senza alcuna traccia di partito. A Mosca ci furono severe critiche, ma in Europa fu grande successo nei club intellettuali.