E se alla fine la montagna partorisse il topolino? Se il Consiglio dei ministri di oggi finisse con un nulla di fatto? Il dubbio è legittimo, dal momento che la convocazione tarda a essere diramata da Palazzo Chigi, e per di più il premier Conte annuncia una visita a sorpresa a Norcia e nelle zone terremotate del Centro Italia, che lo terrà lontano da Roma almeno sino a metà pomeriggio.



Per Matteo Salvini, che smania di mettere sul grande tavolo rotondo il decreto sicurezza bis, l’ora del redde rationem potrebbe essere rimandata. Sarebbe in fondo la soluzione più saggia, e anche la più prudente: un rinvio per evitare l’ennesimo scontro. Il tempo così guadagnato potrebbe servire anche per una messa a punto di un testo che per molti esperti appare frettoloso e raffazzonato.



In apparenza almeno le critiche aspre venute dall’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani alla politica sull’immigrazione hanno avuto l’effetto opposto a quello immaginabile. Hanno cioè ricompattato i giallo-verdi, che hanno respinto al mittente i rilievi, suggerendo polemicamente all’Onu di concentrarsi sul Venezuela, e non sull’Italia.

Sembra però solo una breve pausa nel braccio di ferro continuo fra i due partiti di governo. Se Giuseppe Conte dovesse davvero suonare la campanella del Consiglio dei ministri, di terreni di scontri se ne potrebbero aprire diversi: non solo l’immigrazione, ma anche le misure a favore della famiglia, annunciate da Di Maio, ma vissute come uno scippo e un’invasione di campo dalla Lega e dal ministro Lorenzo Fontana.



Difficile per Conte inserire nell’ordine del giorno solo due nomine urgenti e di peso come il nuovo comandante della Guardia di Finanza e il Ragioniere generale dello Stato. L’ideale sarebbe un rinvio di una settimana, così da scavallare il voto europeo, e confidare in un rasserenamento degli animi. Ma il caso Sea Watch 3, con il braccio di ferro fra Viminale e magistratura, ha gettato nuova benzina sul fuoco. Alla fine Salvini potrebbe accontentarsi forse anche solo di un primo passaggio formale del testo, la famigerata ormai approvazione “salvo intese”. E il tempo guadagnato servirebbe per limare l’articolato, anche per prevenire le (prevedibili) critiche formali e sostanziali che è facile immaginare verranno mosse dagli uffici legislativi della Presidenza della Repubblica, come più volte accaduto negli ultimi mesi per altri decreti legge sottoposti alla firma di Mattarella, come lo sblocca-cantieri e quello dedicato alla crescita.

La verità è che il momento del chiarimento all’interno della coalizione di governo non potrà avvenire che dopo il voto europeo. Una sola settimana, che però appare lunghissima, vista la pressione dello spread e il divaricarsi crescente delle ricette fra Lega e 5 Stelle. La trattativa per decidere quale direzione imprimere alla seconda metà dell’anno si definirà sulla base dei rapporti di forza che usciranno dalle urne. E sarà un chiarimento tanto sulle cose da fare, quanto sulle prospettive di vita dell’esecutivo. Si capiranno tante cose. In primis se si prosegue, ma anche se il Di Maio travestito da pompiere in economia è destinato a durare, come pure il suo atteggiamento di freno rispetto all’autonomia differenziata reclamata dalle regioni settentrionali.

Il macigno sulla strada del governo rimane quello della manovra economica da immaginare per l’autunno. Tanto Salvini quanto Di Maio si espongono quotidianamente a rassicurare che l’Iva non aumenterà, ma continua a rimanere oscuro come potranno essere reperiti i fondi necessari. È sulle scelte economiche che si gioca il futuro dell’esecutivo. I mercati, ancor prima delle istituzioni europee, potrebbero mettere in mora il paese.

Al Quirinale questi rischi sono ben conosciuti e seguiti con attenzione (e preoccupazione). Sinora Mattarella ha preferito rimanere lontano dalle polemiche da campagna elettorale, limitandosi solo a riaffermare valori fondamentali come la tutela del risparmio e la necessità di rilanciare la fiducia delle famiglie e delle imprese. All’indomani delle elezioni europee potrebbe trovare il modo di chiedere a Salvini e Di Maio chiarezza sulle loro intenzioni. Tenere il timone diritto non sarà facile, ma è l’obiettivo che il Capo dello Stato si è dato.