Come ampiamente previsto dai sondaggi, Aleksandar Vucic ha rivinto in Serbia le elezioni politiche conquistando circa il 47,5 % dei voti (rispetto al 43% delle ultime elezioni) e con ogni probabilità la maggioranza assoluta dei seggi in parlamento. Il cartello delle opposizioni guidato da Miroslav Aleksic (filoccidentale e filo-Ue) ha raccolto il 24% dei voti mentre il partito socialista segnala una netta riduzione dei propri consensi attestandosi intorno al 6,5%. Solo due altre formazioni minori entrerebbero in parlamento restando sul filo del 3%, esclusi tutti gli altri gruppi, ben 13, che si erano presentati alle elezioni. L’opposizione ha parlato di brogli che – visto il controllo dei media e delle forze dell’ordine da parte di Vucic – è altamente probabile ci siano stati, ma non in grado di alterare in modo significativo un risultato che, appunto, era ampiamente previsto. In una conferenza stampa tenutasi a Belgrado dopo la chiusura dei seggi gli osservatori internazionali hanno parlato al tempo stesso di “casi isolati di violenza” e di “accuse sul trasporto di elettori per sostenere il partito al potere nelle elezioni locali”, ma di fatto confermando che il voto si è tenuto in una sostanziale correttezza.
Della missione facevano parte inviati dell’OSCE, del Parlamento europeo e del Consiglio d’Europa. Altre irregolarità riscontrate, secondo gli osservatori internazionali, sono state occasionali votazioni di gruppo e la violazione del segreto del voto, mentre il livello del dibattito politico in campagna elettorale è risultato basso. Sicuramente più dei brogli hanno contato la propaganda e l’informazione che, soprattutto in tv, da mesi era costantemente controllata dal governo. Vucic, che governa la Serbia dal 2012, gioca da tempo destreggiandosi tra l’UE e il Cremlino cercando con abilità levantina di lucrare il meglio e il massimo da entrambe le parti. Circondato dai suoi collaboratori, ha parlato di “grande trionfo”.
Il presidente serbo è un politico spregiudicato e furbo, strizza l’occhio all’Unione Europea verso la quale è indirizzato il 90% dei rapporti commerciali serbi, ma non nasconde le sue simpatie per Putin (ricambiato) senza dimenticare che la Serbia dipende dalla Russia per l’approvvigionamento energetico, anche se tra qualche anno sarà in funzione un nuovo gasdotto che, attraverso il Mar Nero, bypasserà l’area russo-ucraina. La Serbia vorrebbe entrare in Europa, ma porta avanti i negoziati senza molto calore: se ne parla da 20 anni, sono nel frattempo entrate da tempo nella Ue Slovenia e Croazia; la Serbia (che era la parte più consistente e dominante della ex Jugoslavia) sa di aver raggiunto diversi dei parametri necessari per l’adesione ma è prudente, prudentissima.
A parte l’utilità di continuare i rapporti privilegiati con Mosca, c’è sempre aperta la questione del Kosovo, area dove in gran parte la popolazione è albanese ma che storicamente faceva parte della Serbia e che nella sua zona settentrionale ha una netta maggioranza serba che rischierebbe l’emarginazione se il Kosovo fosse riconosciuto come una nazione formalmente autonoma. Da tempo si dice che, in cambio di benefici economici, Belgrado potrebbe rinunciare a rivendicare i suoi diritti su quest’area, ma sul piano interno certo Vucic non poteva dirlo prima delle elezioni, sapendo che la pubblica opinione è ferocemente nazionalista e antialbanese.
Di fatto i serbi sono infatti da sempre un popolo diverso dalle altre etnie balcaniche. Forti di una caratterizzante e pluricentenaria tradizione nazionale, egemoni nell’area, cristiani ortodossi che non sopportano i vicini musulmani con odi e scontri che si perdono nei secoli e che sono puntualmente ed immediatamente riesplosi dopo la dissoluzione jugoslava, con atrocità che sembravano ormai superate dalla storia. Conoscendoli di persona, subito vi parleranno dei loro “diritti” sui Balcani ricordando la grande battaglia della Piana dei Merli (località oggi in Kosovo) dove il 15 giugno 1389 il fior fiore della nobiltà serba si sacrificò, ma sconfiggendo gli ottomani che pur erano il doppio di loro, e salvò temporaneamente l’Europa dall’invasione turca.
Il graduale avvicinamento della Serbia verso Bruxelles ha avuto un visibile stop con la guerra in Ucraina e soprattutto negli ultimi due anni Belgrado è diventata una punta di lancia russa quasi nel cuore dell’Europa, soprattutto perché Vucic ha saputo destreggiarsi con abilità dando apertamente il suo cuore a Putin ma nello stesso tempo senza mai rompere il filo con l’ UE, con cui si riempie il portafoglio proprio non sbilanciandosi troppo verso Mosca, che a Belgrado da sempre fornisce armi, oltre che gas.
Secondo i sondaggi due terzi degli elettori serbi stanno con Putin contro Zelensky, anche se i giovani sembrerebbero più attenti alle tematiche europee, ma prendendo atto che ormai alla frontiera con le nazioni UE i documenti neppure te li chiedono più. Certamente i serbi sono molto più europei degli ucraini, erano parte fondamentale dell’impero asburgico, scatenarono in qualche modo il primo conflitto mondiale con l’uccisione a Sarajevo dell’erede al trono di Vienna per mano di propri nazionalisti indipendentisti, ma hanno mantenuto un carattere fiero, poco propenso alla diplomazia e in molti tuttora considerano Milosevic – pur se accusato di inaudite atrocità e genocidio, morto in carcere all’Aia in circostanze tuttora sospette – l’alfiere della propria identità nazionale.
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