L’unica strada per la Siria è quella di costituire una federazione: ci sono troppe etnie e confessioni religiose diverse per trovare posto in uno Stato che non conceda anche forti autonomie. Così la immagina Ugo Tramballi, editorialista de Il Sole 24 Ore e consigliere scientifico dell’ISPI: uno Stato come altri in Medio Oriente, che risentirà della religione islamica concedendo però libertà di culto anche alle altre. La prova più dura per Ahmed Al Sharaa (Al Jawlani) e Hayat Tahrir al Sham sarà lo scioglimento delle varie milizie che hanno contribuito a far cadere il regime di Bashar Al Assad. Avranno bisogno anche del sostegno straniero: per la ricostruzione sarà fondamentale togliere le sanzioni economiche imposte alla dittatura.
Ahmed Al Sharaa, in un’intervista all’emittente tv saudita Al Arabiya, ha detto che per le elezioni in Siria ci vorranno quattro anni. Prende tempo per fare uno Stato islamico?
Noi occidentali, come è successo ai tempi di George Bush quando sono stati invasi Iraq e Afghanistan, abbiamo sempre la presunzione che in questi Paesi in sei mesi si facciano le elezioni, anche se non hanno mai votato in modo libero. E poi anche quando indicono le elezioni in realtà non è che diventano dei Paesi democratici. Le elezioni sono l’ultima cosa a cui pensare, prima dovrebbero esserci le istituzioni statali, la libertà di stampa, il sistema scolastico. Non si può cominciare a costruire una casa dal tetto. Dal 1971, da quando Hafez al Assad, padre di Bashar, ha realizzato il colpo di Stato, la Siria ne ha viste di tutti i colori. Credo che dare al Paese quattro anni, il tempo di organizzare un’Olimpiade, sia il minimo.
In Siria sono presenti molte etnie e confessioni religiose, ma al Sharaa dice di non volersi rifare al modello Libano, in cui tutte le cariche sono definite con una sorta di manuale Cencelli, dando a ognuno la sua parte. Come riuscirà a tenere insieme tutti?
Credo che coinvolgerà tutti i gruppi che sono parte del Paese. Il manuale Cencelli libanese ha permesso nel 2000 di uscire dalla guerra civile durata 15 anni, stabilendo chi ha più o meno potere in base alla presenza demografica: così i cristiani hanno il Presidente della Repubblica, i sunniti il Primo ministro. Ha funzionato per uscire dalla guerra civile, però ha determinato anche la paralisi delle riforme. Al Sharaa ha ragione, meglio non rifarsi a questo modello.
Da quello che sappiamo finora di HTS e di questo nuovo corso cosa ci possiamo aspettare?
Al Sharaa in tutte le interviste che ha concesso ha dimostrato di non essere uno stupido, di capire che è necessario coinvolgere tutti, anche perché tutti sono armati e bisogna organizzare il disarmo delle varie milizie. Il modello cui ispirarsi probabilmente è quello di una federazione in cui ci sia posto per tutti, facendo in modo che si possa votare non in base all’appartenenza religiosa o etnica, ma riferendosi a partiti che hanno bisogno di tempo per costituirsi.
Sì, ma il suo passato islamista non depone a suo favore. Dobbiamo fidarci?
Vorrei ricordare che abbiamo magnifici rapporti con l’Arabia Saudita, con i Paesi del Golfo, dove le donne vanno in giro col velo, dove solamente adesso Mohammed Bin Salman sta riconoscendo loro il diritto di guidare o di lavorare: non possiamo pretendere dalla Siria che diventi improvvisamente democratica quando invece abbiamo relazioni con i Paesi più illiberali che esistono in Medio Oriente.
La prova più difficile da superare sarà lo scioglimento delle milizie?
È una questione molto delicata, anche perché se poi si dà troppo potere all’esercito si finisce come al solito: in Siria dalla fine degli anni 40 alla famiglia Assad si è passati da un colpo di Stato militare a un altro, come del resto anche in molti altri Paesi della regione. Al Jawlani sta dimostrando pragmatismo e moderazione: gli israeliani continuano a bombardare la Siria e lui non dice niente, perché sa perfettamente che questo preoccuperebbe gli americani. Ma il problema non è tanto lui o il modello islamista.
Qual è il punto allora?
Certamente uno dei nodi da sciogliere sarà la Costituzione. Ricordiamo che persino in Egitto, che è un altro nostro grande alleato, contiene elementi della sharia, lasciando comunque alle minoranze cristiane la libertà di praticare la loro religione. La questione più delicata, però, sarà di disarmare tutte le milizie, costruendo un modello federale o confederato.
Niente a che vedere con la costituzione di tanti piccoli Stati per i drusi, i curdi, gli alawiti e chissà quali altre etnie e confessioni?
Questi stati non sarebbero in grado di sopravvivere. No, l’unica via d’uscita di un Paese complesso come la Siria è una federazione nazionale, un’organizzazione statale che proceda verso una forte autonomia di tutte le realtà. Uno stato unitario non è possibile in Siria, a meno che non si torni a una dittatura.
Il leader di HTS ha auspicato che l’Occidente tolga le sanzioni alla Siria, dall’altra parte è conciliante anche con i russi. Vuole tenere tutti buoni?
È un leader intelligente, si rende conto che turchi, russi, iraniani hanno sempre fatto quello che volevano e lui preferisce tenere buoni rapporti con tutti, a condizione che non occupino il territorio siriano. Se gli Stati Uniti ancora non hanno risolto la questione delle sanzioni è semplicemente perché stanno passando da una presidenza all’altra, altrimenti avrebbero già cominciato a farlo. Sicuramente hanno già contatti diretti con chi sta cercando di governare la Siria. Siamo di fronte a uno Stato fallito, con un bisogno disperato che vengano tolte le sanzioni.
Il processo in atto ha garanti forti, la Turchia o magari anche gli stessi Stati Uniti. Che ruolo hanno i Paesi stranieri nella costruzione della nuova Siria?
A parte il fatto che Donald Trump probabilmente cercherà di ritirare quelle poche truppe americane che sono nel nord e nell’est della Siria per la difesa dei curdi, serve un buon rapporto tra Siria e il resto del mondo. Credo sia nell’interesse di tutti, potenze regionali e globali, che le nuove autorità abbiano successo. La Siria non è un Paese qualunque, non è un piccolo Libano, è qualcosa di molto importante. Temo, tuttavia, che uno come Erdogan abbia delle mire anche territoriali.
Alla fine, la Siria su quali basi ripartirà?
Mettiamo da parte la democrazia, abbiamo già commesso troppi errori cercando di imporla in Medio Oriente. Come diceva Madeleine Albright, segretaria di Stato della seconda amministrazione Clinton, imporre la democrazia con le armi è un ossimoro, non è possibile. Dobbiamo aspettarci uno Stato mediorientale, dal punto di vista politico non molto diverso dall’Egitto, dall’Arabia Saudita, dagli Emirati Arabi Uniti. Non possiamo chiamarli democratici, però sono Paesi civili.
(Paolo Rossetti)
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