8 dicembre 2024. Al termine di un’offensiva fulminea lanciata il 28 novembre nel nord della Siria dalla sacca di Idlib, i ribelli siriani, guidati dal gruppo islamista Hayat Tahrir al Sham (HTC), che significa “Organizzazione per la liberazione del Levante”, hanno messo fine in una decina di giorni a più di cinque decenni di regno della famiglia Assad.
La notizia è già vecchia. Gli specialisti di scenari geopolitici hanno già detto la loro. E tirano così le somme di quel che è accaduto in modo abbastanza uniforme, indicando vincitori e perdenti.
Fino all’istante in cui si è concordata la tregua tra Israele e il Libano (giusto il 28 novembre) esistevano due tronconi distinti della guerra mondiale a pezzi. Adesso si sono congiunti. Il tassello che le ha unificate (la Siria) è visto come un colpo di martello alla tempia dell’alleanza Russia-Iran (e la Cina a coprirne le spalle, con il distacco della sua millenaria furbizia) capace di atterrarla. Infatti.
Osserviamo la situazione sul doppio fronte a fine novembre. Lato A. Europa dell’Est: la Russia appare decisamente all’offensiva, vuole chiudere un accordo, con la mediazione di Trump, subito dopo il suo insediamento il 20 gennaio, ampliando le sue conquiste. Ha bisogno di raccogliere le sue energie per fare in fretta.
Lato B. Vicino e Medio Oriente: Israele sta imponendo la sua schiacciante superiorità militare contro “l’asse antisemita”, il cui capofila e burattinaio è l’Iran che manda avanti i suoi satelliti Hamas (Gaza) più il terzetto sciita Hezbollah (Libano), Houti (Yemen), galassia jihadista (Iraq). L’avamposto statuale è la Siria di Bashar al Assad, sostenuto militarmente da Iran (servizi segreti e guardiani della Rivoluzione), Hezbollah (combattenti di terra) e Russia (soprattutto forze aeree).
Le due guerre in corso hanno spogliato però la Siria dei suoi appoggi esteri sul campo, risucchiandoli nelle rispettive patrie. Ed ecco che, senza le stampelle armate, il regime barcolla, i servizi segreti israeliani e turchi capiscono che la debolezza estrema va sfruttata subito. Bombardamenti chirurgici dell’aviazione ebraica precedono e accompagnano l’azione dell’HTC, che con un blitz magistrale, quasi senza sprecare un proiettile salvo che per i festeggiamenti, ha rovesciato il dittatore.
Le tre date storiche
Siamo all’8 dicembre 2024. È la terza data del decennio a prendere posto in prima fila nella storia. La prima e la seconda sono stati appuntamenti sciagurati con la guerra e le stragi. Non si può dir altro del 24 febbraio 2022 (aggressione della Russia all’Ucraina, con il successivo coinvolgimento sempre meno indiretto della Nato), e del 7 ottobre 2023 (pogrom di massa contro gli ebrei di Israele ad opera di Hamas, con le fasi successive non meno cruente a Gaza e in Libano). Stavolta prevale un sentimento positivo, pur venato di preoccupazione. Bastino le dichiarazioni dell’Alto rappresentante della politica estera dell’Unione Europea, Kaja Kallas, di Macron, di Scholz, di Zelensky, di Netanyahu, che si attribuisce il merito della caduta di un nemico giurato, e la gongolante neutralità di Trump, che chiede a Biden di “non immischiarsi in una guerra civile”. Ma chi ha stravinto è Erdogan, che lascia le lamentazioni impotenti ai portavoce di Russia e Iran. Un fatto è sicuro. Putin oggi è più debole, e al tavolo di un qualsivoglia accordo arriva zoppicante. C’è un problema, ed è quello che viene sempre un po’ troppo trascurato nelle analisi festose di ieri: ha un arsenale atomico che se messo con le spalle al muro, e a rischio di ribaltamento interno, può essere indotto a maneggiare, mettendolo sotto il naso dell’Occidente.
Il quale Occidente sta vivendo in un paradosso non da poco. Ha vinto infatti una strana coppia: l’Occidente (con Israele che ne è il figlio spaiato) e l’islamismo armato (manovrato dalla Turchia). Il jihadismo adesso, improvvisamente, è giudicato buono ai palati e digeribile agli stomachi abbastanza opportunisti dell’Occidente.
Fidarsi di Erdogan?
Fa bene l’Occidente a fidarsi di Erdogan e dei suoi burattini jihadisti?
Il primo, neo-sultano turco, è di un’abilità spregiudicata. Genera caos e poi siede al tavolo con le proposte per trasformarlo in un ordine che abbia lui stesso in posizione dominante. È nella Nato, e insieme si è fatto accogliere dai Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica), la famiglia di Paesi alternativa al G7. Fa l’amico nostro e intanto nel Mediterraneo ruba il nostro petrolio. Sta con chi accusa Israele di genocidio a Gaza, e non riconosce quello dei suoi predecessori ottomani contro gli armeni ed anzi ammette con suprema faccia tosta di aver partecipato con le sue truppe alla cacciata degli armeni dal Nagorno-Karabakh tra il 2020 e il 2023. Di sicuro è stato lui a ordinare l’offensiva di Hayat Tahrir al Sham fino alla presa di Damasco.
Soprattutto, dobbiamo aver paura di costoro, i miliziani di HTC? Mosca li considera tuttora terroristi, difficile darle torto. Al Nusra, che ne costituisce la componente originaria, è negli elenchi dei gruppi jihadisti criminali di ogni Paese occidentale: è la filiazione di Al Qaida in Siria.
Eppure registriamo questo fatto: le residue truppe dell’Isis (Daesh) oggi si scontrano con battaglie all’ultimo sangue con HTC e si stanno spingendo verso Palmira. Soprattutto sono le recenti referenze del leader attuale di Al Nusra e di HTC, nome di battaglia al Jolani, ma anche i primi atti pacificanti da lui compiuti, a rappresentare un capovolgimento delle teorie e soprattutto delle pratiche degli antichi feroci maestri.
Finalmente Abu Mohammed al Jolani (che vuol dire “del Golan”), nella sua prima dichiarazione da conquistatore di Damasco per aver messo in fuga Assad (forse a Minsk, forse a San Pietroburgo), ha voluto usare il suo vero nome, Ahmed al Sharaa. Ha vietato ai gruppi armati schierati a Damasco di avvicinarsi agli edifici pubblici e di sparare colpi in aria. Ha affermato di avere intenzione di garantire una “transizione ordinata”. “Le istituzioni dello Stato siriano saranno supervisionate dall’ex primo ministro siriano Mohammad Jalali, fino a quando non saranno consegnate” al nuovo corso, ha comunicato.
La sorpresa di Aleppo
Confesso che me lo aspettavo. Nei giorni scorsi Marco Mancini, già capo del nostro controspionaggio, mi aveva riferito delle intenzioni di al Jolani, dopo aver parlato con fonti molto vicine al capo. Notizie in assoluta controtendenza rispetto a quanto riportato da agenzie internazionali da cui si abbeverano senza filtri tg e stampa, e magari anche certi servizi segreti occidentali. Non imporrà la sharia. Intende valorizzare i cristiani, e addirittura proporre al vescovo latino di Aleppo, il francescano Hanna Jallouf, da lui ben conosciuto, di fare il sindaco o comunque di fungere da autorità nella città martire. Le conferme arrivano. In un’intervista pubblicata da Avvenire giovedì scorso, monsignor Jallouf manifesta una inaspettata fiducia. Lui che pure era stato rapito da Al Nusra quando era parroco a Idlib invita a non aver paura di Al Nusra (Idlib è la base di partenza da cui sono usciti come un tornado i ribelli. Erano stati “depositati” lì nel 2016 da camion scortati da ufficiali russi sunniti di provenienza caucasica con l’invito a starsene buoni). Jolani non ha fatto l’errore di Annibale che a Capua si dedicò agli ozi. A Idlib ha allenato i suoi al combattimento e sé stesso al governo. Ha detto padre Hanna ad Avvenire: “Li conoscevo quasi tutti da prima, da quando ero parroco a Idlib: così subito dopo l’ingresso in città mi hanno contattato per dare assicurazioni ai cristiani. Io ha già riferito a tutti i vescovi di non avere paura”. Ha spiegato perché: “La nostra esperienza a Idlib è che fino al 2023 hanno restituito tutti i nostri beni. Mi sono messo d’accordo con i ribelli che chi ritorna a casa sua, entro un mese, recupera la sua casa, i suoi beni e i suoi terreni: questo è stato fatto e 35 famiglie sono rientrate nei loro villaggi. Un passo significativo, un segnale per tutti gli altri: ci hanno detto che sono venuti a liberarci, che vogliono vivere con noi, ma che vogliono cambiare il regime. E mi hanno assicurato che non resteranno come combattenti, ma le milizie presto andranno fuori dalla città. Preghiamo Dio che ci mandi cose buone”.
Mistero al Jolani
Il passato di al Jolani non è rassicurante, e impone prudenza (la dissimulazione è una virtù coranica. Ma il cambiamento è sempre possibile). Ha avuto un’educazione di rigido salafismo in Arabia, dov’è nato, figlio di pii sunniti, esuli dal regime sanguinario di Hafez al Assad, il padre di Bashar. Il giovanotto prometteva. Al Jolani fu allora inviato in Siria dal califfo dell’Isis, Baghdadi, con l’incarico di sostenere i ribelli per “islamizzare l’insurrezione”. Lo dice in un’intervista ad Al Jazeera nel dicembre del 2013, vestito da perfetto tagliagole in nero, armato fino ai denti. Nel 2015 la stessa tivù qatarina lo ospita stavolta senza armi, e senza la lugubre divisa dell’Isis. Dichiara di essere in guerra contro l’Isis e di essersi riallineato con Al Qaida. Nove anni fa è ormai il capo di Al Nusra e dal 2016 dimostra saggezza da padrone di Idlib. Adesso, 8 dicembre 2024, per tranquillizzare l’Occidente si veste tale e quale Zelensky. Conviene citare padre Hanna: “Preghiamo che Dio ci mandi cose buone”. Siamo stanchi di quelle cattive.
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