Una Siria divisa in territori occupati dalle diverse confessioni e gruppi che ne fanno parte. È l’ipotesi che il politologo americano Edward Luttwak, pur ammettendo che i siriani devono decidere da soli cosa fare, sposa su Il Giornale. L’opinionista USA, d’altra parte, non è l’unico a immaginare una frammentazione dello Stato appena uscito dalla dittatura di Assad. Eppure il motivo per cui questo piano viene proposto, secondo alcuni, è lo stesso per cui, invece, potrebbe essere foriero di scontri e guerre in Medio Oriente, dove tutti finirebbero per affrontarsi per motivi religiosi o di confine.
Una visione, spiega Camille Eid, giornalista libanese residente in Italia, collaboratore di Avvenire, che potrebbe andare nella direzione del piano originario sionista, che, per giustificare la presenza di Israele, prevederebbe un Medio Oriente diviso in Stati confessionali, nel quale lo stesso Israele avrebbe un ruolo dominante. Se vuole ritrovare l’unità, la Siria deve pensare ai suoi interessi, trovare un punto di equilibrio fra le sue anime. È questo il compito, non facile, dei nuovi governanti.
La Siria potrebbe davvero trovare un suo equilibrio dividendosi?
No. Che ci siano i rischi di una spartizione, questo è un dato di fatto: ci sono segnali sulla zona costiera alawita e al Sud, in quella drusa, su istigazione israeliana. Senza parlare della zona curda, al Nord, dove si scontrano i progetti americani e turchi. Ma non credo che questa sia la strada giusta.
Queste regioni sarebbero già a rischio di secessione? Potrebbero nascere degli Stati a parte?
Stati che non sarebbero neanche tanto piccoli: la zona costiera è grande come il Libano, idem quella drusa. E questo, ammesso che non si voglia estendere tutto anche alla parte drusa del Libano: una divisione del territorio siriano ne comporterebbe una anche del territorio libanese, una modifica quanto meno delle frontiere. Tornano progetti divisori anche per quanto riguarda l’Iraq: in caso di nascita di uno Stato curdo, per esempio, non è da escludere una unificazione della parte siriana con il Kurdistan iracheno. Insomma, verrebbe ridisegnato tutto il Medio Oriente.
Che possibilità ha Ahmed Al Sharaa, che ora non si fa più chiamare con il suo nome di battaglia Al Jawlani, di tenere unito un Paese così composito?
Questo è il banco di prova principale: l’alleanza che ha fatto cadere Assad è variegata, Hayat Tahrir al Sham comprende un sacco di fazioni e il seme della divisione è al suo interno. Sharaa cerca di essere pragmatico: ha detto di considerare il consumo dell’alcol come questione legale, quando è prettamente di dominio sharaitico-islamico. Sta cercando di barcamenarsi tra i jihadisti e gli americani, che intanto hanno tolto la taglia di 10 milioni di dollari su di lui. HTS deve coinvolgere tutte le componenti che non erano presenti nella provincia di Idlib. Proprio lì, dove Hayat Tahrir al Sham governava, era in vigore un regolamento di 128 articoli che che prevedeva di imporre il velo alle ragazze sopra i 12 anni, vietare i narghilè nei ristoranti e nei caffè e la promiscuità nei luoghi pubblici e in quelli di lavoro, oltre che il divieto di canzoni e di spettacoli, introducendo la polizia morale.
Se questo diventa un modello anche per la Siria almeno una parte della società reagirà?
Sì. Devono rendersi conto che Idlib è una cosa, Damasco e Aleppo un’altra: sono città cosmopolite, aperte. Bisogna fare attenzione, altrimenti si ripete quello che si è verificato in Iran nel 1979: tutti a festeggiare il regime dello Scià e poi la frangia khomeinista eliminò liberali, curdi e comunisti, dando il via alla dittatura.
Una Siria divisa vorrebbe dire solo moltiplicare i problemi?
Vorrebbe dire assecondare il piano originario sionista. Un piano che perdura. Il progetto prevedeva la divisione di tutto il Medio Oriente in Stati confessionali su basi etniche, comunitarie, proprio per trovare una giustificazione alla presenza dello Stato ebraico, che oltretutto in quella situazione sarebbe dominante. Una divisione che dovrebbe estendersi anche ad altri Stati: sono circolate negli anni ipotesi e mappe che riguardano l’Arabia Saudita divisa in tre, l’Egitto in due, disegnando uno Stato copto.
Quello che sembra fantapolitica è un piano reale?
La nascita di Stati confessionali è la rovina del Medio Oriente, vuol dire condannarlo a guerre di religione per cent’anni. In un contesto dominato militarmente da Israele. Tutto partirebbe dalla Siria, perché lì ci sono tante comunità.
Il nuovo corso siriano dove può trovare la forza per mantenere l’unità dello Stato?
Deve pensare agli interessi della Siria. Anche la Turchia ha dei progetti, non solo sulla zona curda, ma anche su Aleppo, fino ad arrivare in Iraq, a Mosul, Kirkuk e Sulaymaniyya. Oltre alle divisioni, insomma, bisogna tenere conto che ci sono anche Paesi esterni che vogliono annettersi una parte del territorio siriano.
La Siria, però, i soldi per la ricostruzione deve chiederli a qualcuno: per questo è comunque esposta ai condizionamenti?
È così. Teniamo conto poi che tutti i soldi della Banca centrale siriana non si sa dove sono finiti, se a Mosca o con i gerarchi fuggiti. Di sicuro occorrerà cambiare la valuta, perché le foto di Assad sono su tutte le banconote. I soldi della ricostruzione arriveranno principalmente dall’Europa, se ne parla da sei o sette anni: arriveranno quando ci sarà un progetto politico preciso.
Un’opportunità anche per l’Italia?
L’Italia ha scommesso sul cavallo sbagliato: ha riallacciato le relazioni diplomatiche con la Siria a luglio, significa che i servizi segreti italiani erano all’oscuro di quello che stava per succedere. Poi c’è stata la telefonata del capo dell’Aise, quando tutto era partito, al capo dei servizi di Assad per dare sostegno: un altro passo falso. Ne hanno parlato tutti, negli ultimi giorni anche Le Monde.
L’Europa, comunque, può giocare un ruolo importante nella ricostruzione?
Sì, però continua a battere sul tasto della protezione delle minoranze. Ma i siriani non vogliono essere trattati da alawiti, cristiani, curdi o drusi: vogliono essere rispettati in quanto siriani. Bisogna tutelare i diritti umani di tutti: perché bisogna fare delle distinzioni? Che ci sia una sensibilità della società italiana o della Santa Sede, per i cristiani è perfettamente comprensibile, ma senza affrontare il tema in modo così frammentato. Altrimenti ci sarà sempre qualcuno che dirà: “Gli ortodossi sono sotto la mia tutela”. E lo stesso potrebbero fare gli USA con i curdi e gli inglesi con i drusi. La società siriana va considerata nel suo insieme.
(Paolo Rossetti)
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