Mentre è subito diventato virale il volto di Donald Trump costituitosi in Georgia per accuse di eversione (il presunto tentativo di “ribaltamento” del voto presidenziale 2020), in Spagna il Psoe vuol ricorrere a un politico in fuga all’estero, braccato da anni per reati eversivi, pur di “ribaltare” politicamente il risultato elettorale di fine luglio.
Re Felipe VI ha attribuito una settimana fa al leader del Partido Popular, Alberto Feijóo, l’incarico di formare il nuovo governo. Non avrebbe potuto essere diversamente: il voto del 23 luglio ha visto il Pp tornare prima forza politica in Spagna. Ma l’affermazione – anzitutto sui socialisti del premier uscente Pedro Sánchez – non è stata così netta, erodendo voti anche alla destra di Vox, naturale candidata a una coalizione di centrodestra. È stato così che a Madrid – in alternativa al ritorno immediato alle urne – ha subito preso forma l’ipotesi di una “coalizione della sinistra perdente”, sempre guidata da Sánchez. Ma il “ribaltone” spagnolo potrebbe concretizzarsi solo con l’appoggio degli autonomisti catalani, il cui leader, Carles Puigdemont, è da anni all’estero, in fuga dalle accuse giudiziarie legate al fallito tentativo di colpo di Stato indipendentista a Barcellona nel 2017.
Puigdemont è oggi europarlamentare: è stato eletto in Spagna nel 2019, da autonominato “esule”. Aveva già accumulato fughe rocambolesche attraverso l’Europa, e più di un arresto (in seguito anche in Italia, però subito rilasciato). La magistratura spagnola non lo ha mai lasciato tranquillo, dopo che per ristabilire l’ordine costituzionale a Barcellona il governo del popolare Mariano Rajoy – coperto istituzionalmente dalla Corona – aveva dovuto inviare la Guardia Civil.
Puigdemont ha alla fine trovato un “buen retiro” in Belgio: all’ombra (scomoda per entrambi) dell’eurocrazia di Bruxelles, che ha sempre garantito di fatto la sua immunità e non estradabilità.
In Vallonia il “ribelle” catalano si è ritrovato ora in mano le chiavi (i sette voti di Junts alle Cortes) per il “ribaltone” spagnolo, che probabilmente non sarebbe sgradito a istituzioni, cancellerie e partiti storici in Europa, anche in vista del voto per l’europarlamento in calendario fra nove mesi. Non è un caso che le sue carte Puigdemont abbia subito iniziato a giocarle: i voti di Junts hanno consentito l’elezione della socialista Francina Amengol alla presidenza delle nuove Cortes. “Una vittoria tattica di Sánchez” , hanno titolato i media internazionali. Che però hanno dovuto registrare subito il prezzo chiesto da Puigdemont per l’appoggio decisivo al “ribaltone”: l’impegno del leader socialista a varare subito una legge di amnistia per il leader ricercato e gli altri suoi sodali nel tentato “golpe” del 2017. Una legge “ad personas” per un colpo di spugna a gravi fatti eversivi, quanto meno dal punto di vista della magistratura ordinaria spagnola. Questo per favorire la nascita di un governo di centrosinistra (pur perdente al voto democratico) nel Paese dove ancora viene agitato – non solo da mani spagnole, ma anche europee – lo spettro di un’eversione che avrebbe le sembianze di Vox. E questo – nel silenzio della autorità Ue – per iniziativa di un europarlamentare secessionista e separatista da un grande Paese Ue.
PS: chissà cosa si sarebbe detto o scritto in Italia di Bettino Craxi se dopo le elezioni 1983 che portarono per la prima volta il Psi a Palazzo Chigi avesse chiesto o accettato il voto di fiducia di un deputato neoeletto nelle liste radicali: il politologo Toni Negri, appena scarcerato dalla custodia cautelare per una lunga fila di capi d’accusa nelle indagini sull’estremismo di sinistra. Craxi non ne ebbe bisogno e Negri aveva tutt’altro per la testa: fuggì subito all’estero, prima del voto parlamentare sull’autorizzazione a procedere nei suoi confronti. Rientrò in Italia (dopo una lunga protezione nella Francia socialista di Mitterrand) solo nel 1997. Scontò in tutto 12 anni di carcere (alla fine non per insurrezione armata contro lo Stato, ma riconosciuto colpevole di associazione sovversiva e altri reati penali gravi). I suoi appelli da Parigi perché le norme sulla dissociazione dal terrorismo fossero applicabili anche ai “fuoriusciti” non ebbero mai esito.
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