M5s e Pd hanno trovato un accordo sulla bozza di risoluzione che sarà votata oggi in aula, nella quale si impegna il governo Conte a vincolare la riforma del trattato Mes alla “logica di pacchetto” difesa dall’esecutivo giallorosso. Tanto è bastato per far rientrare nei ranghi molti degli oppositori interni M5s e spianare la strada a un voto senza incognite per il governo. Per ogni evenienza, ieri si sono materializzati anche i “responsabili” centristi, pronti a garantire i voti necessari alla maggioranza.
L’incognita, adesso, è un’altra, dice Fabrizio d’Esposito, notista politico del Fatto Quotidiano, e riguarda la linea di Renzi sul Recovery Plan. Qui il banco potrebbe saltare, perché gli interessi di Renzi e del Pd sono coincidenti: indebolire Conte.
Come è stato trovato l’accordo con i dissidenti 5 Stelle?
È stato raggiunto sulla cosiddetta logica a pacchetto della riforma. Un compromesso verbale infilato dentro la risoluzione.
Come andrà a finire oggi in aula?
La partita sul Mes per adesso è chiusa. Non sappiamo come arriveremo alla ratifica, il problema si porrà più avanti. Può anche darsi che Renzi, per dimostrare che la maggioranza non c’è più, oggi non faccia votare i suoi o li faccia votare contro; non lo sappiamo. La sua attenzione si è spostata sul Recovery e potrebbe anche far saltare il banco.
Qual è il suo obiettivo?
Vuole vedere Conte per terra, dare una lezione alla sua arroganza. Dietro le quinte Renzi aveva preso l’impegno di non far nulla contro il governo fino all’approvazione della legge di bilancio, per porre il problema del rimpasto a gennaio.
Invece si è mosso prima.
Non solo. Il modo in cui l’ha fatto, nelle ultime ore, fa capire che non si accontenta di un rimpasto. Secondo me vuole arrivare a un Conte ter, come minimo. Non ci deve sfuggire un altro dettaglio importante.
Quale?
Da quando Renzi ha lanciato l’offensiva sul Recovery, il Pd non ha detto una sola parola.
Iv e Pd si trovano d’accordo nel minare il governo?
Di fatto sì. Adesso al Pd fa comodo l’azione di sfondamento di Renzi. In tutte queste settimane Zingaretti, per bocca di Bettini, ha tentato di persuadere Conte della convenienza di un rimpasto, e di fidarsi, promettendogli di lasciarlo a palazzo Chigi.
Ma Conte non sembra volerci sentire.
No, non si fida. E ha chiuso ogni porta, come si è visto dall’ultima intervista a Repubblica. Si è affidato ad una formula ambigua, del tipo: se poi un partito vuole migliorare la propria squadra, lo faccia. Un modo per chiudere il discorso.
Il punto vero?
Zingaretti non controlla il partito, perché ha ereditato dei gruppi parlamentari di matrice renziana, ed è costretto a fare la parte del poliziotto buono. Oggi il Pd è spaccato a metà: da una parte ci sono Zingaretti e Bettini, che premono per un salto di qualità.
E dall’altra parte?
Dall’altra parte troviamo i governisti: Franceschini, Guerini, Boccia, Gualtieri… non sono certo appassionati della questione. Se Zingaretti entra nel governo, Franceschini smette di fare il capo-delegazione.
Cosa può succedere?
A un rimpasto, anche se adesso non sappiamo come, si può arrivare. Un Conte ter è un obiettivo alla portata del Pd. Il problema è Renzi. La sua azione di disturbo si basa sul fatto che l’arma che Mattarella ha messo sul tavolo, quella delle elezioni anticipate, non si può usare.
E perché?
Perché non si può andare a votare con 700 morti al giorno e una copertura vaccinale che deve partire a gennaio. Mattarella ha interesse a che le convulsioni del governo non danneggino la lotta all’emergenza.
Chi è il parafulmine di tutte queste tensioni?
Conte. Dopo l’iniziativa di Renzi sarà più solo. Tra l’altro nemmeno di Maio sarebbe contrario a una riformulazione della squadra di governo.
E Conte che armi ha per difendersi?
Sperare che il capo dello Stato non smetta di tutelarlo, facendo capire che aprire crisi al buio non conviene a nessuno.
Riepiloghiamo: l’unica incognita vera che può smuovere le acque è il Recovery.
Sì, mediante Renzi e la sua opposizione ai giochi sulla cabina di regia. Il nodo è di sostanza, perché è dalla ricostruzione del dopoguerra che non si vedeva un piano di investimenti così corposo, 200 miliardi di euro.
E ogni struttura “parallela” è fatta apposta per non permettere ai partiti di toccare palla o di farlo il meno possibile. Evidentemente Conte ha garantito a Bruxelles che i progetti avranno via libera. Ma l’Ue lo sosterrà?
L’unico sostegno che Conte può ricevere è quello del Colle.
Il Colle lo farà?
È prematuro dirlo adesso. Vediamo oggi che cosa dice in aula il premier. È una partita dura. Anche perché il Pd, come dicevo, adesso sta più con Renzi che con Conte.
In tutto questo, come si spiegano le scelte di Berlusconi?
Berlusconi è vittima ancora una volta dei giochini che si fanno alla sua corte: filo-salviniani contro filo-governativi, da un lato Ghedini e Ronzulli, dall’altro Gianni Letta… Berlusconi quello che doveva incassare lo ha incassato: la norma pro-Mediaset che lo difende da Vivendi. Con un punto importante da non dimenticare.
Sarebbe?
Il ministero che ha trattato la norma pro Mediaset è quello di Patuanelli: Sviluppo economico, M5s.
(Federico Ferraù)