Alzi la mano chi sapeva, e la alzi anche chi s’è accorto che ieri, 27 settembre, si è celebrata la Giornata Mondiale del Turismo. Immagino una platea di braccia conserte, tra l’indifferenza dei più e il leggero imbarazzo degli addetti ai lavori. Ma se nessuno lo sa e nessuno se ne accorge, è lecito chiedersi “a cosa serve”? In teoria, la giornata indetta dall’UNWTO (nell’anniversario dell’adozione dello statuto dell’Organizzazione mondiale del turismo Omt, nel 1970), dedicata al settore che produce il 10% del Pil globale e che occupa quasi 300 milioni di persone in tutto il mondo, vorrebbe ispirare un “Rethinking Tourism” (è il claim dell’evento), cioè un ripensamento del settore. Che è diventato il mantra di tutti coloro che, dalla pandemia in avanti, si cimentano nelle improbabili agende per la ripartenza. Ma pensa che ti ripensa, nel frattempo ci si accorge che il turismo è già ripartito “da mo’”, e nelle stesse identiche declinazioni del passato, buone o cattive che fossero. Ma anche il “ripensare” della giornata mondiale sembra, nei fatti, ben poco convinto.



Sapete (ma non credo…) cos’è stato organizzato in Italia per l’evento dell’UNWTO? Presto detto: una mostra per promuovere l’arte contemporanea e il turismo inclusivo organizzata dall’associazione Quia dal 30 settembre al 2 ottobre a Cerveteri, e la seconda edizione di “Senza Confini”, sempre a targa Quia: l’arte per sottolineare l’importanza del turismo come mezzo per la crescita. Ora, senza nulla togliere alla certamente meritoria associazione culturale Quia (sede a Bolzano), qualcuno dovrebbe spiegare le scelte fatte per la celebrazione, che sembrano frutto di una convinzione a dir poco… incerta.



Vero è che l’edizione di quest’anno, la numero 42, s’è svolta principalmente a Bali, ma è anche vero che tutti gli Stati membri dell’UNWTO, e tutti gli operatori privati, erano invitati a organizzare le proprie celebrazioni e a promuovere la giornata. L’evidenza è che proprio la tumultuosa ripartenza del settore stia depotenziando i tanti maitre à penser, per un settore imprenditoriale che sta dimostrando un’indiscutibile resilienza rispetto a qualsiasi altro, un volano al quale oggi s’ingranano le cinghie motrici di molti, moltissimi altri comparti.



«Ripensare uno dei maggiori settori economici del mondo non sarà facile, ma siamo già a buon punto – ha detto il segretario generale UNWTO, Zurab Pololikashvili, per il World Tourism Day 2022 -. La crisi ha ispirato e catalizzato la creatività. E la pandemia ha accelerato la trasformazione del lavoro, portando sia sfide che enormi opportunità per garantire che ancora più persone possano beneficiare della ripartenza del turismo. Stiamo anche facendo progressi significativi nel rendere il turismo un motore centrale delle economie verde, blu e digitale, assicurando che la crescita non avvenga a spese delle persone o del pianeta”. Sarà. Nel frattempo, i dati UNWTO rivelano che nei primi cinque mesi del 2022 si sono registrati 250 milioni di arrivi internazionali contro i 77 del ’21, e che l’Europa registra i migliori risultati turistici (+350% sul 2021), con l’Italia quarta meta europea, grazie anche all’appeal dei siti Unesco, all’enogastronomia, all’arte e cultura.

Tutto bene? Mica tanto. Qualcuno dovrebbe spiegare come mai l’Italia, con il più grande patrimonio storico-artistico del mondo, con un’incomparabile varietà di bellezze naturali, con il clima decisamente migliore della media europea, con una cucina senza pari, con eccellenze in praticamente tutte le calamite attive nel turismo, con tutti questi atout non sia ancora riuscita a conquistare la vetta della classifica. Ma una qualche risposta arriva facile: i nostri problemi sono la qualità, la fragilità o l’assenza dei servizi, la difficile mobilità nei collegamenti, la pochezza delle infrastrutture, fino all’incerta disponibilità degli operatori più stolidamente convinti della loro rendita di posizione. Nella frequente identificazione del turista come un limone.

Allora sarebbe bene cominciare a ripensare il turismo dall’identikit del viaggiatore ospite, sempre meno disposto a farsi spremere, e più attento proprio alle qualità che oggi ancora ci mancano. Perché alla fine ripensare il turismo significa soprattutto rimodulare la cultura d’impresa del settore, e spingere il Paese ad aiutare l’intera filiera, e così aiutandosi, diventando una terra più accogliente, moderna, efficiente.

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