C’era attesa per il dato sull’inflazione Cpi (Consumer price index) negli Stati Uniti a febbraio diffuso martedì, a una settimana dalla nuova riunione del Fomc della Fed. Come ci spiega l’economista Domenico Lombardi, direttore del Policy Observatory della Luiss ed ex consigliere del Fondo monetario internazionale, “l’aumento tendenziale dell’inflazione core è sceso al 3,8% dal 3,9% di gennaio, mentre quello dell’indice generale è salito al 3,2% dal 3,1% del mese precedente. Questi dati indicano che negli Stati Uniti non c’è una riduzione monotona dell’inflazione, che negli ultimi mesi continua a oscillare intorno al 3% e fatica a scendere verso il target del 2%. Sarà utile valutare il Pce (Personal consumption expenditures) – l’indice che viene utilizzato dalla Fed per le sue decisioni di politica monetaria – che verrà diffuso a fine mese, per vedere quanto si discosterà dal Cpi. Prima ci sarà, però, la riunione del Fomc della prossima settimana”.
Cosa possiamo aspettarci da questo appuntamento?
Difficilmente i tassi verranno variati. Dopo due mesi di fila, gennaio e febbraio, dove vi è stata un’accelerazione dell’inflazione, sarà interessante capire se e come tale dinamica inciderà sulle aspettative dei membri del Fomc in termini sia dell’avvio del ciclo di riduzione dei tassi, sia del numero dei tagli da operare quest’anno e, quindi, della loro entità cumulata. Attualmente, tali aspettative sono di tre tagli nel 2024 a cominciare da giugno.
Parlando, invece, di Bce, negli ultimi giorni vi sono state dichiarazioni di alcuni membri del Consiglio direttivo che lasciano pensare che i tassi possano essere ridotti già ad aprile anziché a giugno. Cosa ne pensa?
I dati della Bce diffusi la scorsa settimana hanno evidenziato una revisione al ribasso della crescita dell’Eurozona e un miglioramento dell’outlook dell’inflazione, che dovrebbe raggiungere il target del 2%, per l’intera Eurozona, già l’anno prossimo. A livello macro si prevede un rallentamento del commercio mondiale e conseguentemente dell’attività economica mondiale, che sembra aver esaurito lo slancio post-pandemico. Considerando che le condizioni monetarie restrittive nell’Eurozona si accompagnano a una postura fiscale anch’essa restrittiva, si sta assistendo a un progressivo deterioramento congiunturale che dovrebbe indurre la Bce a valutare se l’avvio del ciclo di riduzione dei tassi a giugno non possa essere troppo tardi.
Potremmo, quindi, vedere per una volta la Bce anticipare le mosse della Fed?
A oggi gli indicatori congiunturali indicano che per la Bce sarebbe un errore aspettare dopo l’estate per avviare il ciclo di riduzione dei tassi; anzi, suggeriscono che avviarlo prima di giugno potrebbe essere saggio. Infatti, i dati indicano che la restrizione monetaria sta esercitando appieno il suo effetto, le forze disinflazionistiche stanno operando con efficacia, addirittura alcuni Paesi come l’Italia sono già arrivati al target del 2% da diversi mesi.
Avviare la riduzione dei tassi ad aprile anziché a giugno può davvero far la differenza?
Avviare la riduzione dei tassi dai livelli attuali, che sono particolarmente elevati, avrà comunque un impatto favorevole sulle aspettative di mercato, che si vanno deteriorando sulla base degli ultimi indicatori congiunturali, anche se non sarà certamente risolutivo, dato che le decisioni di politica monetaria dispiegano i loro effetti con vari mesi di ritardo.
Di certo se il taglio avvenisse l’11 aprile, poco prima della presentazione del Def, potrebbe rappresentare una boccata d’ossigeno per l’Italia chiamata a ridurre il deficit/Pil dal 7,2% al 4,3%, quanto meno sul fronte degli oneri sul debito pubblico…
Sì, perché l’avvio del ciclo di riduzione, benché presumibilmente graduale, alimenterà comunque delle aspettative al ribasso dei tassi di cui beneficerà il Tesoro italiano, tra i principali emittenti di titoli di stato dell’Eurozona.
Resta comunque il fatto che l’Italia dovrà fare un grande sforzo sul fronte fiscale, visto che all’Eurogruppo è stata ribadita la volontà di dare rapida attuazione alle nuove regole del Patto di stabilità e crescita.
A prescindere se la Bce avvii a breve il ciclo di riduzione dei tassi, le condizioni monetarie rimarranno in ogni caso restrittive, considerati gli attuali livelli dei tassi di intervento. Occorre, pertanto, evitare di applicare un ulteriore inasprimento fiscale in una condizione congiunturale già avversa. L’auspicio, quindi, è che le autorità europee applichino, per il complesso dell’Eurozona, una sapiente flessibilità nell’implementazione del nuovo Patto di stabilità. Per l’Italia, questo non si tradurrà necessariamente in un corrispondente allentamento della disciplina fiscale, stante l’enorme mole di debito e l’imperativo di una postura prudenziale. Tuttavia, ne beneficerà almeno indirettamente grazie al miglioramento della congiuntura dell’intera Eurozona.
(Lorenzo Torrisi)
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