Gli elementi che compongono il cosiddetto ingorgo nelle vicende politiche e istituzionali di questo periodo sono tutti già ben delineati nell’intervista a Enzo Cheli uscita su queste pagine. Nel mese di gennaio 2020, infatti, si concentreranno alcuni passaggi assai significativi, estremamente ravvicinati tra loro: la decisione della Corte costituzionale sull’ammissibilità del referendum abrogativo avente ad oggetto la “abolizione del metodo proporzionale nell’attribuzione dei seggi in collegi plurinominali nel sistema elettorale della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica”; la pronuncia della Corte di Cassazione sulla legittimità della richiesta da parte di un quinto dei membri del Senato di referendum ai sensi dell’art. 138 della Costituzione sulla legge costituzionale di riduzione del numero dei parlamentari; le elezioni regionali in Calabria e in Emilia-Romagna. Essi si intrecciano, di fatto, con i ripetuti tentativi di riforma della legge elettorale – un vero e proprio tema senza pace negli ultimi anni (con oscillazioni anche rilevanti nelle posizioni delle varie forze politiche) –, con la vita del Governo – costantemente attraversato da fibrillazioni –, nonché con la durata della stessa legislatura (nonostante sia iniziata da poco più di un anno e mezzo).
Il tutto, come nota ancora Cheli, in un contesto di impazzimento dei partiti politici, sempre più conflittuali e frammentati, e sempre meno in grado di tenere distinti (e, forse, prima ancora, di saper distinguere) gli obiettivi della politica istituzionale dagli strumenti della politica contingente.
La debolezza della politica finisce così per esaltare il ruolo delle istituzioni di garanzia, dalla magistratura alla Corte costituzionale al Presidente della Repubblica, cui tutti sembrano aggrapparsi. Salvo poi prepararsi ad attaccarle a fronte di una decisione magari politicamente sgradita (la storia, soprattutto quella dei referendum abrogativi, insegna).
Tutto ciò, inutile dire, non sembra essere il sintomo di un buon funzionamento delle nostre istituzioni.
Nelle vicende attuali, in particolare, lo scioglimento dei nodi dell’ingorgo potrà forse passare attraverso un accorto uso dei tempi e delle procedure che le regole prevedono sulle consultazioni referendarie, magari in combinazione con qualche altro elemento.
Si pensi al referendum sulla legge costituzionale di riduzione del numero dei parlamentari, al di là dell’esito che molti osservatori danno per scontato a favore dell’approvazione (ma sarà così?). La legge sul referendum prevede che la richiesta sia depositata presso la cancelleria della Corte di Cassazione. Che l’Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di Cassazione decida sulla legittimità di essa entro trenta giorni. Che vi possa essere uno spazio di interlocuzione con i presentatori. Che il referendum sia indetto dal Presidente della Repubblica entro sessanta giorni dalla comunicazione dell’ordinanza che lo abbia ammesso. Che la data del referendum sia fissata in una domenica compresa tra il 50° e il 70° giorno successivo all’emanazione del decreto di indizione. Che l’Ufficio centrale proceda a una serie di operazioni prima di pervenire alla proclamazione dei risultati. Che sulla base di essi – se favorevoli alla approvazione – il Presidente della Repubblica proceda quindi con la promulgazione.
In fondo a tale iter, nel caso di specie, la legge costituzionale approvata dal Parlamento stabilisce che le disposizioni degli articoli modificati, e dunque la riduzione del numero dei parlamentari da eleggere, si applichino a decorrere dalla data del primo scioglimento o della prima cessazione delle Camere successiva alla data di entrata in vigore della legge costituzionale e comunque non prima che siano decorsi sessanta giorni dalla predetta data di entrata in vigore.
Come si può vedere, non mancano elementi per stringere o allargare a fisarmonica i tempi di eventuale produzione degli effetti. In ciò si eserciteranno la prudenza e l’accortezza degli organi di garanzia coinvolti, con però il pericolo che le conseguenti scelte li espongano in maniera eccessiva o comunque inopportuna, anche proprio per l’ingorgo che si è determinato. Si pensi solo all’idea, da qualcuno già prospettata, di accorpare il referendum costituzionale con l’eventuale referendum abrogativo.
Ma proprio il rischio di indebolire le istituzioni di garanzia è quanto andrebbe evitato in un sistema in cui già la politica è debole e non di rado inefficace.