Premessa numero uno: dire maggioritario o proporzionale non vuol dire assolutamente niente. Una legge elettorale è fatta di dettagli, che possono fare la differenza. Quindi diventa difficile esprimere giudizi compiuti.
Premessa numero due: l’effetto di ogni legge elettorale è talmente impattante sul sistema politico da modificarlo profondamente, andando quasi sempre al di là delle intenzioni dei promotori della riforma. In altre parole, in Italia almeno, esiste una sorta di maledizione della riforma elettorale, che si è ritorta sempre contro chi l’aveva pensata. È stato così con la cosiddetta “legge truffa” del 1953, con il “Mattarellum” che nel 1993 doveva salvare la Dc, e con il “Porcellum” nel 2005, che doveva impedire l’approdo del centrosinistra al governo. Ed è stato così anche con il “Rosatellum” del 2017, che si è ritorta contro tutti, consegnando all’instabilità un paese in quel momento tripolare.
Fatte queste doverose puntualizzazioni diventano più chiari i termini di una contesa che è tutta politica. A rilanciarla è stato Enrico Letta, indicando come punto di partenza della discussione il cosiddetto “Brescellum”, dal nome non del paese reso celebre da Don Camillo e Peppone, icone del bipolarismo postbellico, ma del presidente della commissione Affari costituzionali della Camera, il pentastellato Giuseppe Brescia. Una proposta che delinea un sistema proporzionale puro, con sbarramento al 5%, senza sciogliere il nodo delicatissimo fra preferenze e liste bloccate.
A chi piace questa proposta? All’asse giallorosso: Pd, M5s, Leu e – in origine – anche Italia viva, che pare però averci ripensato. Letta ha spiegato di vedere come urgente andare oltre il bipolarismo attuale, definito “di facciata”, auspicando un ritorno al proporzionale, in cui ogni partito corre per sé e le coalizioni di governo si formano dopo, in parlamento.
È fin troppo evidente che dietro la proposta si celano sirene rivolte a solleticare l’immaginario centrista e a minare definitivamente il già traballante agglomerato di centrodestra. Un’alleanza in crisi, ma che tutte le simulazioni effettuate con il sistema elettorale vigente continuano a dare come probabile vincitrice delle elezioni politiche, se gli schieramenti resteranno questi.
Accettare di modificare la legge elettorale vorrebbe dire interrompere questa inerzia. Sarebbe la fine del centrodestra come l’abbiamo conosciuto. Sarebbe (il condizionale è più che mai d’obbligo) la maniera di marginalizzare l’estrema e di spingere ad accordi verso in centro. Vorrebbe dire tagliare fuori la Meloni, e andare verso una maggioranza “Ursula”, con Salvini che dovrebbe decidersi, fra una svolta moderata (verso il Ppe) e uno schiacciamento a destra, verso Fratelli d’Italia.
Per Letta e soci questo scenario è il migliore possibile, perché ne garantirebbe quasi al 100% il ruolo di forza di governo. Per dì più, non costringerebbe a legarsi troppo strettamente a una formazione in crisi profonda di consensi e dì identità, come i 5 Stelle.
Ma al centrodestra conviene? Dipende dalle aspettative dei protagonisti. Per la Meloni non ci potrebbe essere niente di peggio, per Salvini un dilemma tremendo, per Berlusconi significa rimangiarsi 28 anni di “religione del maggioritario”. Nel vertice del 14 gennaio tutto il centrodestra ha sottoscritto un patto per dire no al ritorno al proporzionale. Lo hanno firmato anche Cesa (Udc) e Lupi (Noi con l’Italia). Solo Coraggio Italia di Toti e Brugnaro si è sottratta. Questa neonata formazione, che nella partita del Quirinale ha fatto mancare gran parte dei suoi voti alla Casellati, pensa a un rapporto sempre più stretto con Italia Viva di Renzi. Si tratta di un tassello delle grandi manovre al centro, che vedono ormai andare a braccetto Azione di Calenda e +Europa della Bonino. Sono movimenti che non bastano ancora a creare la maggioranza necessaria per cambiare la legge elettorale: Salvini e Berlusconi ripetono che le priorità del paese sono altre. Se terranno duro, la riforma proporzionale non si farà, e chi ci dovesse provare rischia di far saltare il governo.
Questa è però la foto dell’oggi. Nel rimescolamento avviatosi con le lacerazioni prodotte dalla corsa al Quirinale nei prossimi mesi tutto diventa possibile, se i rapporti nel centrodestra dovessero deteriorarsi ancora e cambiare i calcoli di convenienza. Quelli, essenzialmente, di Berlusconi e Salvini.
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