“Non mi pare un governo in grado di fare scelte significative in nessun campo” dice Stefano Folli, editorialista di Repubblica. D’altra parte l’assenza di alternative è il grande punto di forza di Conte, Di Maio, Renzi e Zingaretti, nonostante il “limbo”, pieno di interrogativi, in cui si trova ora l’“avvocato del popolo”. Le regionali saranno il primo verdetto, e se l’Emilia-Romagna andasse al centrodestra cambierebbe tutto. Lo ha capito Salvini, che va assumendo posizioni più centriste.



La crisi mediorientale è crisi europea. Conte e Di Maio hanno annunciato un decreto ministeriale per bloccare l’export di armamenti verso la Turchia, allineando l’Italia alle posizioni di Francia e Germania. Basterà?

No. Bisognerà vedere che tipo di efficacia avranno queste misure. L’Italia in Turchia ha interessi economici da salvaguardare, ma deve muoversi all’interno dell’Ue. In questo ambito può assumere una posizione che può risultare più o meno incisiva.



L’offensiva turca in Siria ha distolto l’attenzione dalla Libia e dai problemi di Conte. Il presidente del Consiglio è più forte o più debole di prima?

È più debole, innanzitutto perché ha perso un po’ dello slancio con cui aveva cominciato, e poi perché la vicenda dei servizi, non risolta, lo ha collocato in una sorta di limbo. Però la sua forza è data dal fatto che al momento non c’è un altro equilibrio che possa sostituirlo.

E il governo?

Ha lo stesso problema di Conte. È solo un’alleanza di convenienza e non sta dando risultati sufficientemente brillanti, è vittima del suo stesso immobilismo nelle scelte di fondo.



Forse il limbo di Conte è lo stesso che preoccupa il Capo dello Stato, soprattutto con quello che è emerso dopo la visita di Pompeo. Domani Mattarella vedrà Trump. Cosa vogliono gli Usa dall’Italia, in questo momento?

Vogliono che noi eliminiamo qualunque ambiguità per quanto riguarda la politica estera, che dà l’impressione di barcamenarsi. Siamo in un solco tradizionale di cauto allineamento ai nostri partner, ma è come se mancasse un segnale più forte.

Cosa dobbiamo aspettarci dalla visita di Mattarella?

La visita è importante per tante ragioni. Rimane il dubbio che gli americani siano ben consapevoli che il presidente della Repubblica italiana non è il capo dell’esecutivo, ma una figura istituzionale con un ruolo di garanzia e di terzietà. A volte, come è già successo in passato, confondono i piani e il rischio è che Trump, che è molto esplicito nei suoi messaggi, cada in questo equivoco. Questo non significa che Mattarella non possa raccogliere le preoccupazioni dell’alleato e dare voce alle preoccupazioni del governo. A cominciare dai dazi.

Di Maio a Napoli ha detto che “M5s sarà sempre l’ago della bilancia di ogni governo”. Una dichiarazione che dà a M5s un nuovo mandato politico. Quale potrebbe essere?

Non credo che i 5 Stelle pensino di fare un partito di centro; piuttosto, di consolidare la loro immagine di partito ambivalente, che si può alleare secondo le convenienze del momento.

Puro trasformismo.

Sì, ma ci racconteranno che sono fuori dal circuito dei partiti tradizionali, e via dicendo. Si metteranno con chi offrirà loro garanzie sui contenuti. Non più un partito che si candida a prendere tutto, ma una formazione del 17-20% che si propone come interlocutore di un ampio arco di forze politiche, oggi il Pd, domani, perché no, di nuovo la Lega o un partito di centrodestra. Prepariamoci a un M5s molto più opportunista di come lo abbiamo conosciuto finora.

Di quale legge elettorale hanno bisogno Di Maio e i suoi?

Non una legge proporzionale pura, che vorrebbe dire una frammentazione della rappresentanza politica e una minore possibilità di parlare a settori marginali dell’elettorato. Piuttosto, o una legge proporzionale con una soglia di sbarramento alta, che possa tagliar fuori anche il partito di Renzi, oppure il Mattarellum, che aiuta chi ha una forza maggioritaria concentrata in alcune parti del paese.

Dunque, i 5 Stelle si terranno le mani libere.

Di sicuro non vogliono favorire Renzi.

E il Pd?

Mi sembra più impegnato a ricreare, per quanto possibile, una logica bipolare.

Secondo lei la partita della legge elettorale che tempi avrà?

Lunghissimi. Sarà un parto complesso, faticosissimo, scandito dai vari passaggi elettorali regionali, i cui risultati cambieranno più volte l’orientamento dei partiti in Parlamento.

Come si presenta politicamente il governo all’appuntamento del disegno di legge di Bilancio, da presentare in Parlamento il 20 ottobre?

Con Pd e 5 Stelle obbligati a trovare un accordo. Ma questa situazione ha una portata più generale. M5s è in una condizione vantaggiosa: ha ottenuto il taglio dei parlamentari, le manette agli evasori e la prescrizione sono altri punti qualificanti che potrebbe facilmente portare a casa perché senza Di Maio il Pd non governa. L’obiettivo sarà non dare l’impressione di essere ormai assorbiti nel Pd.

E da parte del Pd verso M5s?

Il Partito democratico cercherà di assorbirli o di renderli una sorta di partito vassallo. È presto per dire se possono riuscirci. I Cinquestelle nel loro trasformismo potrebbero anche accettare la parte, ma lo farebbero con un altro obiettivo: fare l’ago della bilancia.

Da che cosa dipendono questi sviluppi?

Le regionali ci daranno i primi segnali.

Le elezioni regionali sono il vero appuntamento che può cambiare il quadro politico?

Dipende. Mettiamo che in Umbria vinca il centrodestra; non verrà giù il mondo, creerà qualche contraccolpo, ma finirà lì. Per la Calabria è un po’ diverso, non è la Lombardia ma è una Regione del Sud dove i 5 Stelle sono o erano forti; se perdono, qualche domanda si pone. Se in Emilia-Romagna vince Bonaccini, sarà il Pd ad avere vinto e i 5 Stelle avranno fatto i portatori d’acqua. Se invece l’Emilia-Romagna va a destra, cosa che io non credo, questo sì che diventa un elemento esplosivo sul piano nazionale.

Salvini ha detto al Foglio che l’euro è irreversibile, e che l’obiettivo non è uscire dall’euro o dall’Unione. Perché questa mossa?

Ha capito che stando con Le Pen e AfD non si va da nessuna parte. Per poter avere una prospettiva reale come leader di centrodestra deve darsi una linea più inserita nella cornice europea, che poi è quella di Orbán o di una destra che confina con il Ppe o che si colloca al suo interno. Se intraprende questo percorso può tornare a crescere, diversamente rimane in un vicolo cieco.

(Federico Ferraù)