La concessione agli ucraini di colpire il territorio russo con i missili americani è l’ultimo tentativo di Biden di mantenere in vita la politica estera USA degli ultimi vent’anni, quella che aveva come obiettivo riportare la Russia nell’alveo occidentale in seguito a una frattura insanabile con Putin. La strategia neocon, finora condivisa da repubblicani e democratici, comune a Bush e Obama, spiega Marcello Foa, giornalista, docente universitario, già presidente Rai e conduttore di “Giù la maschera” su Rai Radio1, sta per essere sconfessata da Donald Trump, e il presidente uscente vuole provocare una reazione di Putin per scompaginare i piani di pace del suo successore alla Casa Bianca. Per Trump, che è uomo d’affari, la guerra in Ucraina non conviene. E poi, probabilmente, preferisce avere una Russia un po’ più amica anche in funzione anti-Cina.
Chi ha dettato la linea americana sulla guerra in Ucraina e perché questo colpo di coda di Biden con il permesso agli ucraini di usare gli ATACMS per attacchi in Russia?
Bisogna distinguere un obiettivo strategico di lungo periodo e un obiettivo tattico. Riguardo al primo, va considerato che gli americani hanno un conto aperto non tanto con la Russia quanto con Putin. Eltsin era molto condizionato dagli USA, ma quando ha ceduto il potere, il quadro è cambiato, perché Putin ha avuto un approccio diverso. All’inizio aveva un buon rapporto con Bush, fu il primo a chiamare la Casa Bianca dopo l’11 settembre, poi qualcosa si è rotto tra Cremlino e Casa Bianca. Cosa sia successo non si sa, e da quel momento in avanti la divaricazione è diventata sempre più ampia.
La gestione della questione ucraina è la prova di questa divaricazione?
La crisi in Ucraina nasce nel 2004 con la rivoluzione arancione, ampiamente ispirata dalla CIA, secondo un metodo replicato con le primavere arabe in Egitto, Tunisia, Libia e Siria: una rivolta popolare, eroica e romantica, ma in realtà, appunto, ispirata dietro le quinte. Quando gli USA cercarono di cambiare regime in Ucraina, la frattura con la Russia diventò profonda e dichiarata, una rottura ancora più evidente nel 2014, che ha avuto il colpo finale nel 2022 con l’inizio della guerra.
Qual era il vero obiettivo americano?
Riportare la Russia nell’orbita occidentale. Incrinati i rapporti con Putin, questo sarebbe potuto avvenire attraverso un cambiamento di regime a Mosca e un continuo indebolimento di Mosca, percorso che quindi si accompagna da vent’anni a un ridimensionamento dell’influenza russa in tutte le zone ex-sovietiche.
Come cambia lo scenario oggi?
Con Trump va in pensione tutta una politica estera aggressiva, neocon, di cui è stata artefice l’ex sottosegretario di Stato Victoria Nuland, che teneva questa linea già con Obama. L’attuale amministrazione americana spera che le ultime provocazioni di Biden creino una situazione tale per cui per Trump diventi difficile stringere un accordo di pace sull’Ucraina, interrompendo un posizionamento dell’America e della NATO in Europa che è di lungo periodo. Autorizzando l’uso di missili a lungo raggio, Biden ha accolto le richieste dei falchi del Dipartimento di Stato. Ci sono menti dietro le quinte che elaborano la politica estera e poi la fanno approvare dal presidente. L’impronta neocon, qui, è palese da tanto tempo.
Lo scopo di Biden ora qual è?
Provocare Putin e sperare in una reazione impulsiva, in modo tale che Trump debba far fronte a una situazione inaspettata e sia indotto a non perseguire un cessate il fuoco e magari un accordo di pace tra Russia e Ucraina. L’obiettivo è di non compromettere la politica estera USA perseguita da 20-25 anni, a parte la parentesi del primo mandato di Trump. Una parte dell’establishment americano vede come il fumo negli occhi un accordo Trump-Putin. Ma è un gioco pericoloso: si rischia una guerra fuori controllo.
In questo disegno neocon c’è anche la necessità di tenere sotto controllo l’Europa come concorrente economica?
George Friedman, il direttore della Stratfor, un centro studi vicinissimo alla CIA, in una conferenza disse che la necessità vitale, storica, degli USA era quella di impedire un’alleanza fra la Russia e la Germania, perché la prima è ricca di energia e petrolio, mentre la seconda è all’avanguardia dal punto di vista economico e tecnologico. Per tutto il Novecento l’obiettivo di Washington era che non ci fosse un’alleanza strategica forte fra i due Paesi. I tempi sono cambiati, ma il fatto che abbiano sabotato il gasdotto Nord Stream rientra in questa logica: l’America non vuole un’Europa troppo dipendente dalla Russia.
Il partito democratico, attraverso un personaggio influente come Barack Obama, ad esempio, ha contribuito a determinare le ultime scelte di Biden?
C’è una continuità fra Biden e Obama, come c’era tra Bush e Obama. Da sempre, sulle grandi scelte strategiche, c’è una continuità fra presidenti democratici e repubblicani. Nel 2004, quando iniziò la rivoluzione arancione, c’era Bush presidente. Non so se Obama possa avere avuto un’influenza diretta sul Dipartimento di Stato. Non credo. Ci sono comunque degli obiettivi condivisi che sono rimasti nel tempo.
Con Trump come cambierà la linea?
Trump non è influenzato dalle rotte strategiche di prima e per questo è stato osteggiato su tutto tranne che per Israele. Non pensa che la politica estera nei confronti della Russia debba essere così aggressiva. È uomo d’affari, vuole che l’economia americana torni a essere più equilibrata, riportando la produzione industriale in patria. Su queste basi regola i rapporti con gli altri partner. La Cina è il soggetto cui dedicherà maggiori attenzioni. Non ama l’Unione Europea, preferisce sviluppare i rapporti bilaterali rispetto a una struttura sovranazionale.
A cosa punta, invece, nei rapporti con Putin?
Trump si chiede quanto costa la guerra in Ucraina e constata che non si ottengono risultati, tanto è vero che la Russia avanza. Pensa che l’America non abbia interesse a proseguire una guerra che l’Ucraina sta perdendo e pragmaticamente ritiene che sia meglio chiudere questa parentesi. Lo ha già fatto in Afghanistan. Il rapporto personale con Putin, a mio giudizio, rafforza questo scenario.
Pensa anche a rapporti diversi con la Russia in funzione anti-Cina?
Quando Trump introdusse per la prima volta i dazi contro la Cina, tutti lo criticarono. Biden, però, non li ha tolti, anzi, li ha incrementati. Trump fa un’equazione semplice: “Se devo arginare la Cina come potenza economica-commerciale e come possibile potenza geostrategica, ho interesse che la Russia sia mia amica e non mia nemica”. Il punto fondamentale è vedere se i russi, dopo quello che è successo negli ultimi vent’anni, sono pronti a riallacciare rapporti di cooperazione con l’Occidente. Trump ragiona così, anche se poi vanno considerati molti elementi: non sappiamo quali sono gli obiettivi strategici di Putin, c’è un’amministrazione USA da riprendere in mano e il Deep State che remerà contro. Non sarà una passeggiata.
(Paolo Rossetti)
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