La svolta di un Paese come gli Stati Uniti è consigliabile osservarla microscopicamente, quasi ossessivamente, altrimenti si rischia di farsi sfuggire il nucleo centrale della sua ribellione. Domandarsi dove fosse il “cuore” degli Stati Uniti, prima ancora del 5 novembre di quest’anno, significa cercare di capire l’intelligenza umana collettiva. Trump è stato un presidente senza precedenti di carriera politica. Il suo primo successo fu inaspettato persino a lui stesso. La sua emarginazione e il tentativo di cancellarlo, da parte di quella che oggi si chiama negli organi mediatici indipendenti la Machine, fu immediata. Il suo calvario avrebbe attraversato subito i quattro anni della sua ingenua ma cocciuta prima presidenza, e poi i seguenti quattro li avrebbe passati dentro e fuori dai tribunali. Il gioco era voler fare credere che Trump fosse l’incarnazione del male: l’unico corrotto in una nazione composta da 50 Stati, anche molto autogovernati. C’è stata persino l’accusa di alto tradimento: basta citare January 6, il cosiddetto “assalto a Capitol Hill”.



Il popolo osservava e appariva zittito. I giornali e i media della Legacy erano insaziabili e pronti a tutto (anche rischiando la psicosi di una lynch mob) per privarlo di un secondo mandato. Con il popolo c’erano i Podcasters (fra cui il famosissimo Joe Rogan), e anche la recente “ripulita” X (prima Twitter) di Elon Musk. Assieme all’avvento degli ex scomunicati dai Dems – fra cui il più clamoroso, Robert Francis Kennedy Jr., avatar dei democratici dei Golden years che videro l’uccisione di due Kennedy e due leader neri: Martin Luther King Jr e Malcolm X – arrivò anche JD Vance, scelto come vicepresidente, scrittore di successo e di recente conversione al cattolicesimo. Un’altra eretica si unisce, Tulsi Gabbard, rappresentante delle Hawaii e nel 2020 candidata alla presidenza. Sarà la più coraggiosa, passando dal Partito democratico al non-partito indipendente (come RFK) e infine a quello repubblicano. Fu sorpreso anche Trump, la sera di un raduno, quando lei lo annunciò. Il Transition Team (quello che ora chiamano il re-alignment) avrebbe ancora avuto il pieno appoggio di un altro nome famoso e anche lui “extra-parlamentare”: Elon Musk.



Nel frattempo si era alzata una voce, in questa social media underground, che non si vergognava di nominare Dio, soprattutto dopo il primo attentato alla vita del candidato: si chiedeva di pregare per lui, salvato dalla pallottola fatale da Dio. In questo si udiva la voce della Bible Belt.

Ecco il cuore di questo Paese religioso, un cuore che non tutti conoscono o riconoscono. Certamente non Kamala Harris, incoronata paladina dell’estrema political correctness. Errore strategico che solo ora si discute, dopo la landslide victory (vittoria schiacciante, ndr) di Donald Trump.

L’attenzione microscopica a cui accennavo all’inizio avrebbe rivelato una sorta di crociata – fatemelo dire – “rivoluzionaria” che sale dal basso, dalle viscere della nazione, e che si fa sentire con l’urlo di un voto stravolgente, quello di chi ha sopportato l’agonia imposta da chi sarebbe diventato il loro salvatore, e ha detto basta, dipingendo di rosso la mappa degli Stati. E forse è stata la prima volta che il rosso repubblicano non è apparso lontano da quello del colore classico italiano di chi, una volta, si identificava con la democrazia più pura (qualcuno disse The Right is the New Left). Con Abraham Lincoln si tornò a dire: “You can fool all the people some of the time, and some of the people all of the time, but you cannot fool all the people all of the time” (Puoi ingannare tutti per un po’ di tempo, e alcuni per sempre, ma non puoi ingannare tutti per sempre).



Ma il ruolo di Salvatore è colmo di ostacoli e la guerra l’ha già dichiarata la Harris nel suo Concession Speech, ripetendo la parola di Trump quando alzò il pugno insanguinato (“Fight, Fight, Fight”). Lei l’ha ripetuta appropriandosene come un mantra senza mai esaurirsi. La regina, senza più la corona, torna alla sua bellicosa natura che si espresse senza riserve nel suo acceptance speech, e così dichiara che la guerra a Trump non finisce. Già lo vediamo nei mass media, ogni giorno sempre più isterici. È probabile che finiscano prima le guerre in Ucraina e Israele.

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