Leopoldo Destro ha appena lasciato la guida di Confindustria Veneto Est, la seconda maxiterritoriale d’Italia, che ha unito quelle di Treviso, Padova, Venezia e Rovigo. Da oggi (nel consiglio generale dell’associazione, ospitato a bordo di Costa Fascinosa) entrerà nella squadra di vertice di viale dell’Astronomia, assumendo la delega nazionale (affidatagli dal presidente Emanuele Orsini) a trasporti, logistica e industria del turismo.



Presidente Destro, si tratta di un impegno che arriva in un momento delicato per un settore in profonda trasformazione. Ha già elaborato nuove linee di programma?

Partiamo anzitutto da una consapevolezza: il turismo è un’industria e come tale va trattato. Non solo perché contribuisce a una fetta rilevante del nostro Pil e per il numero di addetti che impiega, ma anche per le ricadute in grado di generare, che vanno ben oltre gli ambiti della tradizionale filiera turistica. L’Italia ha due grandi settori di punta derivanti dalla sua posizione geografica e dalla propria storia – e a me che vengo dal Veneto appaiono molto chiari -: la manifattura e il turismo. Abbiamo il maggior numero di siti Unesco al mondo: l’Italia conta 59 siti iscritti nella lista del Patrimonio Mondiale dell’Umanità dell’Unesco. Questi siti rappresentano una straordinaria varietà di patrimoni culturali, naturali e misti, che testimoniano la ricchezza storica, artistica, architettonica e paesaggistica del Paese. Considerando che i dati indicano nei prossimi dieci anni un raddoppio dei turisti mondiali e che l’Italia è uno dei Paesi più desiderati si impone una riflessione seria su questo settore che preveda strategie, risorse e continuità.



Nella sua guida degli industriali veneti, lei ha saputo aggregare territoriali diverse, fino a creare la seconda rappresentanza italiana di Confindustria. Nel mondo da sempre iper frastagliato della filiera turistica, crede sia altrettanto necessario arrivare ad una nuova compagine unitaria, che possa costituire massa critica con più forza nel confronto con amministrazioni e governi?

Nella mia esperienza di Presidente della nuova aggregazione di Confindustria Veneto Est siamo partiti da una consapevolezza, ovvero che il territorio ci parla e ci racconta di una continuità di valori che vanno colti, resi visibili e valorizzati al fine di contare di più. Credo che anche il settore turistico dovrebbe affrontare questo percorso che gli darebbe nuovo slancio e nuove e significative soddisfazioni. Come Confindustria ci proponiamo quale aggregatore di interessi, potendo contare sulla presenza di aziende lungo tutta la filiera turistica, dall’agroalimentare ai servizi, dall’informatica ai trasporti, dall’arredamento al sistema moda.



Le traiettorie principali che oggi si indicano per il turismo di un futuro prossimo venturo si ripete siano la digitalizzazione, la sostenibilità, la qualità. Secondo lei, ce ne sono altre, forse più immediate?

Le infrastrutture: sono un punto nevralgico per lo sviluppo del settore e non possiamo come Paese aspettare oltre: pensiamo ai Porti, agli Aeroporti, al sistema stradale ma anche alle infrastrutture digitali indispensabili per un up-grade del sistema. Ma ricordiamoci che infrastrutture turistiche sono anche i Parchi e le aree verdi, i siti archeologici e museali e le infrastrutture turistiche tipiche (hotel, resort, open-air) che necessitano di investimenti per il recupero e l’ammodernamento. Per far questo occorrerebbe un Piano Marshall per il turismo concentrando risorse nazionali e comunitarie in questo settore, ma anche favorendo sempre più le aggregazioni di imprese in un sistema che appare troppo parcellizzato e a rischio di svendita a player stranieri.

La qualità, nei servizi erogati, è un imprescindibile asset, legato intimamente con la cultura d’impresa e la formazione di manager e addetti. TH Group e Cassa depositi e prestiti, a Venezia, hanno creato la Scuola italiana d’ospitalità, che in collaborazione con l’università Ca’ Foscari ha varato il primo corso di laurea professionalizzante per formare gli operatori della travel & hospitality industry con le skill oggi necessarie. È questa la strada da seguire?

La strada per una nuova narrazione delle professioni del turismo passa senza dubbio attraverso un rebranding del settore e delle sue aziende. Il Covid ha danneggiato l’immagine del lavoratore tipo di questo settore, ma non dimentichiamoci che anche prima della pandemia si contavano molti istituti alberghieri in Italia ma poche specializzazioni universitarie o terziarie. Un settore quindi che pagava lo scotto di essere identificato come sbocco per studenti svogliati che hanno scarse qualità professionali o che transitano solo occasionalmente a differenza di quanto avviene all’estero in Paesi anche molto meno turistici di noi (Svizzera, ma anche Olanda) dove le scuole di specializzazione e manageriali sul tema sono tra le più rinomate. Vedo molto positivamente la qualificazione delle figure del management e middle management in questo settore, ma anche nel settore culturale e della gestione degli eventi. In questo le Università possono essere fondamentali per l’innalzamento professionale del settore come pure gli Its che nell’ultimo decennio stanno dando un forte impulso in questo senso e con ottimi risultati in termini di placement. Certo è necessario parallelamente anche formare la forza lavoro attuale e gli imprenditori del settore perché sappiano accogliere e valorizzare questi nuovi inserimenti che portano con loro innovazione e nuove prospettive.

La mancanza di personale è comune per qualsiasi attività d’impresa, ma forse soprattutto per quanto riguarda il turismo stagionale e l’Horeca. È un fenomeno conseguente allo scarso appeal del comparto, alle condizioni di lavoro non sempre ben accette, alle retribuzioni poco adeguate, all’assenza (specie per i lavoratori stagionali) delle indispensabili staff-house? Come si può ovviare?

Senza dubbio attraverso la qualificazione delle figure professionali, come già detto, e anche attraverso un percorso di destagionalizzazione turistica che miri all’allungamento dei contratti stagionali. Sempre in termini di narrazione delle professioni in questo settore bisognerebbe anche sottolineare gli aspetti positivi della flessibilità oraria che possono rendere attrattivi questi mestieri anche ai giovani, agli studenti, alle donne.

Buona parte delle imprese turistiche italiane, soprattutto quelle a conduzione familiare, soffre ancora di scarse attrezzature finanziarie, che lasciano governance impreparate ad affrontare qualsiasi difficoltà. Ma continuano a essere rari gli esempi di aggregazioni locali ed economie di scala, e si lascia così aperta la porta per acquisizioni da parte di fondi o gruppi stranieri, immissioni che comunque non sono sempre nocive. Cosa ne pensa?

La fragilità del settore in questo senso è ben visibile e si è manifestata in tutta la sua concretezza durante il periodo del Covid; anche qui si tratta di agire nei confronti del settore finanziario pubblico e privato per considerare questo settore non un real estate – come spesso avviene – ma espressione di vere e proprie imprese, attenzionando e agevolando le loro esigenze di credito. Le acquisizioni sono in certi casi inevitabili e se ben gestite possono anche rappresentare un volano per la crescita di una destinazione. A patto però che le imprese più piccole riescano ad aggregarsi e a competere.

Il turismo oggi conta su un ministero dedicato, che però resta ancorato nel dualismo con le Regioni, un’impasse di fatto stabilita dal Titolo V della riforma costituzionale del 2001. Crede si dovrebbero rivedere le competenze in materia?

Il turismo, come ben noto, è materia già assegnata alla competenza esclusiva delle Regioni. Questa scelta, che sottrae pertanto il tema alla discussione in atto sull’autonomia differenziata, pare abbia finora prodotto risultati molto buoni. Il Ministero competente per materia riveste poi di certo una funzione importante, come regolatore di tematiche alte e trasversali, come motore di promozione unitaria del sistema turistico italiano e come promotore di un Piano strategico di rilevanza nazionale, cui le Regioni ben possono attingere, specificandone poi la portata sul territorio. In questo la Regione Veneto è un buon esempio, in quanto è stata tra le prime ad adottare un proprio Piano strategico di sviluppo dell’industria turistica, improntato al Piano nazionale. Credo molto in questa partecipazione e integrazione tra livelli diversi, tanto più che il turismo per sua natura è un settore trasversale, pervasivo con moti fattori ed attori dello sviluppo territoriale. La stessa Conferenza delle Regioni mi risulta collabori attivamente con il Ministero. Ritengo pertanto che, più che rivedere le competenze, si debbano incentivare momenti di integrazione e confronto tra tutti gli attori coinvolti in questa rilevante tematica, facendo circolare buone pratiche, opportunità e cercando il superamento di criticità.

Il Veneto risulta essere la regione più a vocazione turistica d’Italia, sulla base dei numeri di arrivi e presenze. Ma in Veneto si è anche saputo andare avanti sulle norme che regolano la materia, perfino per quanto riguarda la cronica questione dei balneari. Si tratta di best practice mutuabili altrove?

Con 72 milioni di presenze nel 2023, il Veneto è la prima regione turistica d’Italia e la quinta in Europa: è pertanto “nelle cose” che qui si sperimentino e si confrontino situazioni prima di altri territori. Il caso delle concessioni balneari è un esempio, ma altri esempi si rinvengono in materia di contenimento dell’overtourism o di promozione delle destinazioni o, ancora, di un Osservatorio federato, che raccoglie dati afferenti al settore anche in funzione predittiva. Devo dire che la Regione ha impostato con le associazioni di categoria che rappresentano il settore una interlocuzione attenta e concertativa: ne è espressione il già citato Osservatorio federato, ma anche la predisposizione di un Piano strategico pluriennale sul turismo che credo sia uno dei più avanzati d’Italia. Sicuramente quelle citate sono da considerarsi esperienze mutuabili anche in altre e diverse Regioni. In questo, credo sia importante anche il lavoro svolto dagli organismi di rappresentanza, come Confindustria, che ben possono valorizzare ed esportare queste buone pratiche, promuovendo sperimentazioni che incrementino nel tempo la crescita di questo importantissimo settore merceologico.

Le prossime Olimpiadi Milano-Cortina e il Giubileo di Roma saranno banchi di prova importanti per l’Italia e la sua industria turistica, che da sola vale il 13% del Pil. Crede sapremo arrivare pronti?

I dati che stiamo acquisendo da Regione e Simico sul fronte delle infrastrutture e della realizzazione di impianti sportivi sembrano rassicurarci. Al momento non si segnalano rilevanti criticità. La sensazione è anche quella che tutto il sistema sia ben consapevole dell’importanza dell’evento e questo ci consente di mettere a terra uno sforzo comune per la miglior riuscita non solo degli eventi previsti (Olimpiadi e Paraolimpiadi), ma anche della miglior ricaduta dei medesimi sul territorio. Le Olimpiadi, al di là di evitabili retoriche, ci daranno per davvero la misura di una promozione integrata del territorio e di un’area geografica molto ampia: e la integrazione – tra settori merceologici diversi, tra sport, cultura e turismo, tra arte e paesaggio – sarà la chiave di valore di questi eventi: non dimenticando che il perimetro e l’orizzonte in cui si svolgono le gare è quello delle Dolomiti patrimonio Unesco. L’industria turistica è dunque chiamata a integrarsi con altro e anche a sperimentare percorsi e strumenti per uno sviluppo e per un’ospitalità sostenibile.

(Alberto Beggiolini)

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