La guerra in Ucraina continua, ostinatamente. Ora sembra che sia prossima la fine a causa di una probabile invasone dei russi, che non risparmiano uomini e mezzi approfittando dello sfinimento degli Ucraini e delle incertezze dell’Occidente, che in questo momento viene coinvolto, suo malgrado, anche dalla guerra in Palestina.
Qualcuno dice che è tempo ormai di bilanci. Qualcuno dice che è ancora troppo presto.
Trattandosi di un bilancio molto particolare, personalmente ritengo che occorra per ora fare almeno chiarezza sulle “voci” da utilizzare.
C’è una voce che riguarda i danni materiali. Non c’è chi non vede che interi quartieri di alcune città ridotti in macerie possono facilmente far prevedere quanto tempo e quante risorse saranno necessarie per ricostruire case, senza sapere se chi abitava lì c’è ancora, o se ha veramente intenzione e possibilità di tornarci. Oltre alle case sono spesso state colpite le centrali che riforniscono di energia la vita della città. Forse un po’ meno, tranne eccezioni, le fabbriche e i luoghi di produzione, perché chi pensa di vincere capisce che una volta finita la guerra per prima cosa bisogna ricominciare a lavorare, a produrre.
C’è poi una voce che riguarda la situazione politica. I due condottieri della guerra hanno creato inizialmente, a proprio sostegno, un’onda di consenso, che ora mi pare sia messa in crisi proprio dai risultati della guerra. Al di là di ogni ostentato nazionalismo delle due parti, non c’è chi non veda, tra gli osservatori più esperti, che sia la Russia sia l’Ucraina oggi dipendono sempre più dalla Cina (più Iran, più altri) e dall’Occidente (Europa più Stati Uniti).
Basti pensare all’episodio accaduto il 14 settembre 2023 ad Astana, e già riportato in un mio articolo precedente, quando proprio durante la visita pastorale di papa Francesco in Kazakistan capitò nella capitale Xi Jinping che, incontrando il presidente Tokaev, gli assicurò che d’ora in avanti la Repubblica Popolare Cinese avrebbe garantito l’integrità territoriale del Paese. Minacciata da chi, indovinate? Da quella Russia che fino a quel momento aveva garantito il Kazakistan dalle pretesi cinesi.
C’è poi una voce che prevede di valutare le conseguenze sulla vita delle persone. Sono considerazioni evidentemente impossibili, se si pretende di valutare il dolore e l’angoscia di tante persone e tante famiglie. Morti, feriti, prigionieri. Famiglie divise ormai da anni, donne che hanno subito ogni tipo di violenza, bambini deportati. E poi, anche, la distruzione dell’autorità spirituale della Chiesa, certo innanzitutto per colpa dell’insana posizione di Kirill, ma ora anche del crescere di un atteggiamento di opposizione nella Chiesa ortodossa ucraina, segnato da un identico nazionalismo.
In questo quadro la presenza discreta della Chiesa cattolica e quella altrettanto importante di “uomini di buona volontà”, non legati ad interessi di parte, preoccupati di un difficilissimo lavoro di pacificazione in città e quartieri dilaniati dall’odio, mi sembra, oggi, più che mai estremamente necessaria.
Incominciare ora ad organizzare questa forza di pace non è troppo presto. Si tratta, una volta tanto, di essere pronti ad ogni spiraglio di possibilità di bene.
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