Caro direttore,
mi pare che nella situazione attuale si possa ammettere che, per ora, Putin stia vincendo, da tanti punti di vista. L’eroica difesa degli ucraini, che militarmente non può essere sostenuta dagli occidentali per la ragionevole paura di una terza guerra mondiale “aperta”, prima o poi è destinata ad essere vinta dal pur non efficientissimo esercito della Federazione Russa. Non a caso uno che se ne intendeva di guerre e di rivoluzioni, Lenin, in Che fare? scrisse che erano necessari “rivoluzioneri po professiu”, cioè combattenti preparati a farlo in modo professionale.



I poveri soldati russi caduti prigionieri non sembrano così. Forse anche i loro ufficiali, ovviamente nemici della droga degli occidentali, ma forse non del tutto indifferenti al fascino della vodka, possono aver mostrato qualche crepa nella preparazione. Sta di fatto che, come ci insegna la storia della Seconda guerra mondiale, quando le vittime dell’Armata Rossa furono molto superiori a quelle dei tedeschi, si può vincere anche con la forza del numero, soprattutto se non ci si preoccupa molto delle perdite umane. Questo andrebbe ricordato anche alle mamme di Mosca, San Pietroburgo e della Siberia.



Così, dicevo, per ora sembra proprio che Putin stia per vincere. “Per ora”, “sembra”. Perché forse non si accorge che sta tirando la volata agli “amici” cinesi. Loro non si preoccupano di occupare l’Ucraina. Gli basta Hong Kong e, forse, domani, Taiwan. Del resto il mondo lo stanno già occupando discretamente, poco a poco, attraverso una presenza dovunque di loro attività e di loro persone. E così, per ora, noi, non solo l’Ucraina, stiamo perdendo.

Non è solo una sconfitta che dipende da una certa, presunta, responsabilità morale che ci impedisce di metterci “al suo livello”. Né la colpa è solo dei continui conflitti di interessi che dilaniano il mondo occidentale. Forse la colpa è della presunzione di aver usato la civiltà dei consumi come veicolo pubblicitario per esportare un tipo di democrazia che non sembra aver preso molto posto nel cuore della gente dell’ex Urss. Benvenuti i generi di consumo e le comodità che non avevamo, ma a gestirle ci pensiamo noi coi nostri metodi.



Decenni di scambi culturali non hanno portato nella maggioranza della popolazione a un significativo cambio di mentalità, cioè di cultura politica. Del resto nel nostro mondo, dove la democrazia spesso si riduce ad una lotta per il potere, dove ti preoccupi solo di fare gli interessi del 51% che forse ti voterà, dove si fa a gara a mettere in evidenza le incongruenze del sistema, dove la preoccupazione per i diritti individuali ha il sopravvento su quella per il bene comune, è poi possibile che sia giustificato il nostro, radicato, senso di superiorità?

In fondo il Patriarca Kirill forse non ha tutti i torti. Se morire per Kiev non vale la pena, ha senso morire per il Gay Pride, contro il Gay Pride? Per come conosco gli ucraini non credo che la maggior parte di loro la pensi diversamente dai russi sulla questione degli omosessuali, ma non mi risulta che abbiano mai preparato un’invasione di qualche Paese europeo dove le parate dei gay sono ormai di routine.

In Ucraina non si scherza, si muore, tutti muoiono. Perché non muoia la speranza occorre una fede in qualcosa di più che nei propri diritti individuali, qualunque essi siano. Anche una fede più grande di un giusto orgoglio nazionale. Per questo occorre la pace e non sarà disonorevole, per ora, accettare di trattare anche con un Putin vincitore. La rivincita dobbiamo prepararla sin d’ora. Non chiudendo i russi, soprattutto i giovani russi, nel loro lager di vincitori, ma cercando di far vedere loro che c’è una altra via, un’altra vita.

Ma ne saremo capaci? Proviamoci, almeno, perché i cinesi sono alle porte.

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