Ha chiesto a Zelensky di smettere di combattere per far spazio a un negoziato. Ma il leader ungherese Viktor Orbán, da sempre in dissenso con la linea della UE di sostegno militare a Kiev, in Ucraina potrebbe aver portato anche messaggi di Trump, incontrato recentemente negli USA, e di Putin, con il quale ha un legame stretto. Le sue parole, spiega Marco Bertolini, generale già comandante del COI e della Brigata Folgore in diversi teatri operativi dall’Afghanistan al Kosovo, fino a qualche tempo fa potevano sembrare fuori luogo, ma ora anche il risultato delle elezioni UE le fa apparire più rispondenti al pensiero dell’opinione pubblica, che spesso nelle urne ha punito proprio chi sosteneva la guerra. Tenendo conto del voto, sono proprio Francia e Germania le nazioni che ora potrebbero aprire a una trattativa, con l’Italia che giocherebbe un ruolo importante, riconosciutole da Putin, ed Erdogan possibile mediatore (per quanto ieri ricusato dal Cremlino in questo ruolo). Tutto questo mentre Politico.com rivela quello che sarebbe il piano di Trump per finire la guerra: niente NATO per Ucraina, Moldavia e Georgia e concessioni territoriali a Mosca. Un progetto su cui la Russia prende tempo e che l’Ucraina rigetta in toto.
Orbán è stato molto diretto con Zelensky: ha chiesto un cessate il fuoco in Ucraina per favorire i negoziati. A che titolo ha fatto questa proposta?
Orbán sta iniziando il suo semestre di presidenza della UE, quella a Kiev è stata una visita dovuta. Ma qualche tempo fa è stato ospite negli USA, a Mar-a-Lago, da Donald Trump, che sull’Ucraina ha idee diverse da quelle di Biden. Insomma, potrebbe essere stato latore di un messaggio del possibile futuro presidente statunitense. I rapporti fra Orbán e Zelensky non sono mai stati particolarmente brillanti, nei siti vicini a Kiev il premier ungherese viene descritto come la “bestia nera” europea, perché ha una posizione diversa da tutti gli altri Paesi UE, ma forse è stato ricevuto anche perché portava un messaggio da oltre Atlantico.
Secondo Politico.com Trump avrebbe in mente di negoziare con Putin evitando l’entrata nella NATO di Ucraina, Moldavia e Georgia e concedendo alla Russia territori ucraini. L’Ucraina si oppone e Mosca non si sbilancia, dichiarando che non tratta con Trump. Che futuro potrebbe avere questo piano?
La proposta di Trump rappresenterebbe una vittoria schiacciante per la Russia. Ovvio quindi che l’Ucraina la rigetti, anche se solo per voce di Yermak, il potente consigliere di Zelensky. Anche la Russia, però, rifiuta di trattare ora, per voce di Peskov e non di Putin: sa che adesso ogni apertura a Trump potrebbe essere controproducente, vista l’opposizione che l’ex presidente USA incontra da parte dell’establishment statunitense. Troppo presto per sbilanciarsi, anche perché Mosca teme aperture che portino a un semplice cessate il fuoco che consentirebbe alla NATO di rinforzare ulteriormente l’Ucraina. E nell’ottica di uno scontro lungo con l’Occidente, che non si risolverà con la fine delle ostilità in Ucraina, per i russi questo sarebbe molto pericoloso.
Dobbiamo aspettarci qualcosa nel breve termine?
Fino alle elezioni negli Stati Uniti non credo che cambierà niente. Siamo ancora all’inizio di una fase interlocutoria che però lascia intravedere un importante cambiamento di atteggiamento da parte degli USA. La proposta, ripeto, potrebbe comunque far presumere un “coordinamento” con Orbán che si accrediterebbe, in caso di vittoria di Trump, come suo importante referente in Europa.
Le parole di Orbán a Zelensky risentono anche delle elezioni europee?
Sì, la vittoria delle destre in Francia così come in Germania, per non parlare dell’Italia, non fa che confermare che in riferimento all’Ucraina c’è una stanchezza non indifferente. Orbán si è sentito forte di esprimere la sua posizione anche per questo. In altre occasioni lo avrebbe fatto con qualche imbarazzo in più, ora sa che è portatore di una posizione che è rappresentata in maniera significativa nelle opinioni pubbliche europee. Che si cominci a parlare di pace del resto è cosa nota. Lo ha fatto la conferenza tenuta in Svizzera, preceduta da una proposta di Putin, giudicata irricevibile per ora dall’Ucraina. Ma ciò che è irricevibile oggi potrebbe non esserlo domani, soprattutto se le cose sul campo di battaglia continueranno a muoversi come avviene ora.
La posizione di Orbán può essere anche condivisa da Putin, visti i rapporti che il primo ministro ungherese ha con il presidente russo?
Putin sa di avere un’entrata privilegiata in Europa con l’Ungheria. Orbán, oltre a essere portatore delle idee di Trump (sempre che le confermi, perché anche lui è da prendere con le molle), potrebbe essere parte di questa “offensiva” per arrivare a un negoziato che vede Putin in attesa.
Il leader ungherese può trovare sponde in Europa, qualcuno che lo sostenga nella richiesta di un negoziato?
Fino a prima delle elezioni UE sarebbe stato più difficile, adesso no. Anche l’Italia, che si era segnalata nella sua intransigenza nel sostenere l’Ucraina, sta usando toni più morbidi: penso alle posizioni espresse da Crosetto e Tajani sulla necessità di cercare la pace. Si possono creare condizioni favorevoli a un negoziato, soprattutto se in Francia dovesse vincere Bardella: le fughe in avanti di Macron hanno rinforzato Zelensky, ma se dovesse mancare questa stampella le cose cambierebbero anche sul campo.
Qualche settimana or sono Putin aveva descritto la posizione italiana come una di quelle più assennate in Occidente, senza esagerazioni antirusse. Il nostro Paese può avere un ruolo nel tentativo di intavolare colloqui di pace?
Credo che le dichiarazioni di Putin siano proprio finalizzate a fare in modo che l’Italia assuma questo ruolo. Sa che Roma potrebbe essere condizionata dalla sua “sovranità limitata” in termini di politica internazionale, non potendo sottrarsi a quanto viene deciso altrove, ma spera che si apra a quel ruolo di mediazione che le è abbastanza congeniale, riconoscendo che sì, fa la voce grossa, ma non potrebbe non farla, e che comunque in Italia non c’è tutto questo trasporto per la guerra a ogni costo.
La Germania potrebbe essere una delle nazioni che sostiene la necessità di un negoziato? E chi altro potrebbe incamminarsi su questa strada?
Prima di tutto c’è bisogno di una scintilla che provochi un cambiamento di rotta: potrebbe venire dal risultato elettorale negli USA, ma anche da una drammatizzazione della situazione sul campo, come dalla vittoria di Bardella in Francia. In Europa però la Germania è la vittima principale di questa guerra, con il taglio del Nord Stream ha perso gas a basso costo per la sua industria. Tutto questo ha avuto un riflesso sui cittadini e sulle elezioni europee. Francia e Germania restano i due Paesi più determinanti da questo punto di vista.
Orbán ha contatti stretti anche con la Cina. E non solo dal punto di vista economico. Le sue uscite con Zelensky potrebbero non essere invise neanche a Pechino?
Di sicuro Pechino ha interesse a normalizzare la situazione in Europa: una UE povera non le fa comodo, la sua Via della Seta in questo caso non sarebbe più remunerativa. Credo che guardi con interesse ai tentativi di avviare una trattativa.
Al negoziato, comunque, sta pensando anche Zelensky?
Credo di sì. Arriviamo da due anni di guerra che ha creato molte vittime e distruzioni, anche Zelensky si rende conto che non si può proseguire così all’infinito, a meno che non la si trasformi in qualcosa di più grande, in cui il presidente ucraino non è più il direttore d’orchestra, ma è la NATO che interviene.
Chi potrebbe mediare in una eventuale trattativa?
L’Italia può mettere i suoi buoni uffici, ma c’è Erdogan che sta riallacciando i rapporti con Assad in Siria, sotto gli auspici di Putin. Potrebbe essere un attore importante. La Turchia appartiene alla NATO, ma ha una sua politica molto indipendente, senza troppe briglie che la blocchino. Sì, Erdogan potrebbe svolgere un ruolo. Se non lo sta già svolgendo. Il riavvicinamento ad Assad significa che è sensibile nei confronti delle esigenze russe.
(Paolo Rossetti)
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