Il recente articolo di Marco Zacchera sul Sussidiario pone molto bene in rilievo le molteplici ambiguità emerse dal vertice Nato a Vilnius, terminato lo scorso 12 luglio; perplessità e domande che credo siano condivise da molti semplici cittadini.
L’attenzione dei commentatori ufficiali si è concentrata sulle modalità e sui tempi di entrata dell’Ucraina nella Nato, una questione che giustamente Zacchera etichetta come “ipocrisia”. Personalmente andrei oltre e parlerei di una meschina sceneggiata. Come chiamare altrimenti la discussione su una possibilità che risulta già esclusa a priori, cioè l’entrata nell’Alleanza di un Paese in guerra? Se la Nato accogliesse ora l’Ucraina, ciò significherebbe lo scontro diretto con la Russia, uno scontro che Biden ha nettamente e ripetutamente escluso, fin da prima dell’invasione russa.
Anche se il famoso articolo 5, come indicato da alcuni commentatori, non imponesse automaticamente l’intervento degli altri membri della Nato, se un solo Stato membro, magari la Polonia, attaccasse direttamente i russi, questo porterebbe inevitabilmente a una guerra globale. E allora perché creare illusioni negli ucraini, promettendo loro un’entrata dopo la fine della guerra, cioè a giochi finiti? Tanto più senza concrete ipotesi su come finire questa disastrosa e inutile guerra, a meno che si faccia finta di condividere le dichiarazioni di Zelensky su una totale sconfitta della Russia. In questo opinabile ipotesi, però, l’adesione alla Nato diverrebbe del tutto secondaria. Se, come forse più probabile, si andasse incontro a una guerra di posizione, rimarrebbe la impraticabilità dell’adesione.
Nel suo articolo, Zacchera spiega bene i terribili effetti che le bombe a grappolo hanno sui civili a distanza di molti anni dal loro utilizzo e infatti sono state vietate dalla Convenzione di Oslo entrata in vigore nel 2010, però non firmata da Stati Uniti, Russia e Ucraina, gli Stati coinvolti nella discussione attuale.
Tra gli anni 60 e 70 sono state usate dagli americani in Laos, causando 50mila morti, 20mila anche dopo la fine della guerra, e innumerevoli feriti e mutilati, per metà bambini. Dopo la guerra in Vietnam questo tipo di bombe è stato usato in quasi tutte le guerre e da molti eserciti coinvolti, per esempio dai russi in Siria, dai sauditi nello Yemen, ancora dai russi in Afghanistan, dove sono state usate anche dagli americani, come in Iraq fino al 2003. A quanto pare, i russi hanno già usato questo tipo di bombe in Ucraina: ciò ne consentirebbe l’uso da parte degli ucraini e l’invio da parte degli americani.
All’obiezione che non si può rispondere a un crimine con lo stesso crimine si dichiara una maggiore “affidabilità” delle bombe fornite da Washington, che avrebbero un tasso di non esplosione non superiore all’1% (nelle guerre del passato poteva arrivare al 30%). Inoltre, si parla di un impegno del governo ucraino a un utilizzo sottoposto a una serie di principi e limitazioni, come il non uso in aree urbane e sul territorio russo.
Una ragione più concreta, come riporta Euronews, è data dalla progressiva riduzione delle scorte di munizioni negli Usa, in particolare per i proiettili da 155 mm. Queste munizioni sono usate dai pezzi di artiglieria per lanciare le bombe a grappolo, con il conseguente risultato di ricostituire le scorte di munizioni da 155 mm, diminuendo gli stoccaggi di bombe a grappolo.
Rimane una domanda di fondo. Finora queste bombe sono state usate in territori occupati dal nemico. È possibile che gli ucraini accettino di usarle sulla parte del proprio territorio occupato dai russi, ma abitato da ucraini? Malgrado la maggiore precisione attribuita a queste nuove munizioni, gli effetti collaterali sui civili rimangono potenzialmente notevoli. E come escludere del tutto un loro utilizzo sul territorio russo?
Qui il problema non è la fiducia in Zelensky, perché tragici errori accadono in ogni campo di battaglia, senza contare che qualche esponente militare potrebbe tentare di alzare la posta per spingere l’Occidente a un intervento diretto. Tuttavia, anche il comportamento di Zelensky pone alcune domande, vista la sua violenta reazione alle conclusioni del vertice di Vilnius, definite “assurde”. Pensava davvero possibile un’adesione alla Nato in questa situazione? Una simile conclusione era forse possibile nella serie televisiva “Servire il popolo”, di cui era protagonista, ma infattibile nella realtà.
Perplessità paiono emergere anche tra i più solidi sostenitori della causa ucraina, come dimostra l’uscita del ministro della Difesa britannico, Ben Wallace, a margine del vertice Nato. Per Wallace ci si dovrebbe aspettare un po’ più di gratitudine da parte dell’Ucraina e non continue “liste della spesa”: “Non sono Amazon”, ha detto. Un atteggiamento che comincia a diffondersi anche tra il largo pubblico.
Ed ecco l’ultima perplessità: lo scambio tra il sì di Erdogan all’entrata della Svezia nella Nato e la ripresa dell’iter di adesione della Turchia all’Unione Europea. Una prima domanda: da quando Nato e Ue sono corpi comunicanti? Chi ha autorizzato questo cedimento di sovranità nei confronti della Nato, cioè di Washington?
Erdogan utilizzerà senza dubbio il risultato ai suoi fini di politica interna, ma il processo di avvicinamento all’Ue sarà lungo e difficoltoso, se non altro per l’opposizione di Cipro e della Grecia. O Bruxelles metterà una definitiva pietra sopra l’invasione turca di Cipro? E come giustificherà il diverso atteggiamento nei confronti dell’annessione russa del Donbass? E cosa dire sulla sottrazione da parte della Nato del Kosovo alla Serbia?
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