Strani segnali arrivano dai fronti di guerra. Mentre era in discussione al parlamento americano l’importante e contestato pacchetto, ecco che su Foreign Affairs, non certo un foglio anti-establishment e marginale, esce un importante articolo che rilancia una tesi non nuova. Che cioè Kiev all’inizio della guerra era pronta a sedersi per raggiungere un accordo con Putin, quando all’improvviso si mise in mezzo il premier inglese Boris Johnson a bloccare il tutto. Ma questa era una notizia già riportata e che i lettori del Sussidiario conoscono. Rimane da interpretare il motivo e i tempi di questo rilancio che sicuramente non sono casuali.



Ma ecco un altro articolo anch’esso tutto da interpretare. Sull’Economist, sede che non merita spiegazioni, il professor Feng Yujun, esperto di politica internazionale e di Russia, pubblica un articolo dove sostiene una tesi che fa sobbalzare, tanto più se detta da un alleato. O per lo meno dall’amico più fidato, anche se non da fonti ufficiali. “La Russia perderà la guerra in Ucraina”. Ora, questo Feng Yujun non è un signore qualsiasi: estraggo dal suo enorme curriculum che fa parte presso la Fudan University dell’Istituto di Studi Internazionali, che è consulente della Shanghai Cooperation Organization e di altre istituzioni. Scrive inoltre da un Paese dove vige un controllo di regime ferreo, e per giunta su un giornale super autorevole, non certo sull’Eco di Roccacannuccia. Quindi se ne deduce che, come minimo, le sue parole non sono sgradite al governo cinese, se non addirittura il governo cinese vuole che in Occidente si conosca anche questa posizione sulla guerra russo-ucraina.



Ma torniamo alle parole di Feng Yujun. L’inizio è tranchant e lascia pochi dubbi. “La guerra tra Russia e Ucraina è stata catastrofica per entrambi i Paesi”. E il dopoguerra rappresenterà uno “spartiacque” non solo per i belligeranti, perché avrà “un impatto globale”.

Il corso della guerra è stato infatti caratterizzato da quattro fattori, secondo Yujun: “il livello di resistenza degli ucraini”, “il supporto internazionale”, “la natura della guerra moderna” che unisce e combina assieme diversi sistemi, ovvero industriale, intelligence, comando, controllo comunicazioni. Fin qui niente di nuovo. A far sobbalzare, visto da che pulpito viene la predica, è invece un ulteriore fattore di crisi, che proviene dal sistema informativo di cui Putin dispone. Il fatto è che il presidente russo è vittima di sé stesso, circondato da una corte di yes men che non gli dicono la verità, che non conoscono nemmeno loro. Al contrario degli ucraini, che dispongono di un sistema di intelligence flessibile e accurato.



La combinazione di questi fattori è micidiale, perché determina il fatto che la “eventuale sconfitta russa” è “inevitabile”. Ora, l’espressione è contraddittoria. Se un fatto è “eventuale” non può essere “inevitabile”. Ma non sono le formule retorico-diplomatiche ad essere interessanti. Rimaniamo ai fatti. Il fallimento militare trascina la Russia non solo a perdere i territori della guerra in corso, ma anche alla rinuncia della Crimea, preda della prima aggressione, fino ad oggi considerata ormai, anche nelle cancellerie occidentali, annessa a Mosca.

Altro punto di analisi estremamente importante messo in risalto dall’autore. Il regime di Mosca non è forte. La guerra ha dimostrato la fragilità del sistema post-sovietico di Putin, che ancora non è riuscito nella sua opera di modernizzazione istituzionale a dispetto del plebiscito elettorale. Forte è il dissenso interno, che si manifesta in modo violento, come dimostra l’insubordinazione dei mercenari del Gruppo Wagner e di altri corpi militari, nonché le tensioni etniche in molte ex repubbliche sovietiche insofferenti al dispotismo centralistico di Mosca, acutizzato dalla guerra.

Allo stesso tempo, la NATO si è risvegliata accorgendosi della minaccia all’ordine mondiale che proviene da Est come ai tempi della Guerra fredda, facendo dimenticare la “morte cerebrale” diagnosticata da Macron. Con l’Unione Europea che ha perciò rinunciato alla politica di buon vicinato con la Russia, e si è rafforzata militarmente, con l’entrata di Svezia e Finlandia nell’Alleanza Atlantica.

Altro punto di estremo interesse sono le affermazioni sulle relazioni sino-russe, che “non possono essere considerate fisse”, cioè date una volta per tutte. Infatti la Cina è passata da una posizione nel 2022 a fianco di Mosca, “no limits”, alla tradizionale affermazione di “non allineamento, non confronto, non targeting di terze parti”. Infatti la Cina, nonostante non abbia aderito alle sanzioni contro la Russia, “non le ha sistematicamente violate”. Se è vero che ha comprato il petrolio russo, lo ha fatto per il bene di tutti, altrimenti i prezzi del petrolio sarebbero schizzati alle stelle, mentre invece si è rifornita a prezzi stracciati dall’amico ex-sovietico. Non solo, Pechino desidera la pace e lo ha dimostrato ritagliandosi un ruolo di mediatore, tentativo non andato a buon fine e che a quanto pare deve aver lasciato qualche risentimento.

Ed ecco la conclusione impressionante. Cina e Russia sono Paesi differenti. “La Russia vuole sovvertire l’ordine internazionale e regionale con la guerra, mentre la Cina vuole risolvere le dispute pacificamente”. Alle condizioni attuali, e senza un profondo cambiamento di regime a Mosca, una soluzione congelata del conflitto in Ucraina stile guerra di Corea sembra improbabile e remoto. Le critiche non si fermano qui. Se le cose non cambiano dopo anche un’eventuale tregua, Mosca continuerà a mettere in pericolo il mondo.

Questo il riassunto. Articolo impressionante, che suscita una montagna di questioni. La prima. La descrizione della situazione russa corrisponde a verità? E perché Pechino vuole farla sapere a noi, a tutta l’opinione pubblica occidentale? Perché la guerra disturba i suoi progetti di espansione? Oppure vuole l’opposto, che Washington pensi che Putin è un nemico pericoloso e debole in modo da continuare la guerra? Distraendo sguardo e risorse dal Celeste Impero? O ci sono più partiti a Pechino?

Ma in quanto a campagne di informazione nonché disinformazione, fake news e quant’altro non si può non chiudere con il lancio su X di Pepe Escobar. Israele avrebbe -sintetizzo – lanciato un attacco nucleare con un F-35 contro Teheran, ma l’aviazione russa lo ha – lo avrebbe – abbattuto mentre attraversava i cieli della Giordania. E questa incredibile notizia arriva da fonti sicure e riservate, ben due. Pepe Escobar è un giornalista famoso, scrive su Asia Times, è antiamericano, filorusso, con ottime entrature nel mondo del potere russo e così via, ma non è (era) un ciarlatano. Perché rilanciare una voce di questo tipo? Come è possibile che un attacco così importante sia passato sotto silenzio? Non sono sospette le modalità? Solo un aereo per compiere un’azione di quella importanza? Se questa informazione gli arrivasse dai suoi amici russi, cosa dovrebbe dimostrare? La pericolosità di Israele, l’amicizia tra Russia e Iran e l’inimicizia, stando a quanto successo, assoluta tra Russia e Israele? Oppure più semplicemente, l’informatissimo Pepe è cascato in un trabocchetto che ha irrimediabilmente macchiato lui e i suoi amici? Oppure, oppure, oppure…

L’unica cosa sicura è che le “nuove guerre” sono anche guerre d’informazione. E queste notizie ci dicono anche che qualche cosa si muove nei diversi fronti non certamente così compatti nemmeno al loro interno.

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