“Il volto della guerra all’inizio del 1917 era di poco diverso da quello che si manifestava al mondo all’inizio del 1915 quando la saracinesca delle linee trincerate era scesa per dividere l’Europa in due campi minati”. Sono parole di John Keegan, uno dei massimi storici militari, per descrivere quella guerra di più di secolo fa che sconvolse il mondo. Se sostituiamo gli anni e al posto di Europa scriviamo Ucraina, il significato non cambia. Siamo davanti ad una guerra di attrito, di logoramento. Dopo un anno e mezzo, un numero enorme di caduti, un Paese distrutto, la situazione sul fronte segnala spostamenti minimi di territorio.
Il fatto eclatante è che le parti si sono invertite: l’esercito russo da attaccante è passato a una posizione difensiva, mentre le truppe di Kiev se vogliono perseguire un qualche risultato da sbandierare come vittoria, devono cercare di sfondare le linee nemiche lanciando controffensive. Per raggiungere questo risultato sul campo, poche sono le strade da percorrere, visto che è impossibile per l’esercito ucraino operare una qualche manovra significativa raggruppando un numero ingente di truppe e questo per una serie di motivi che adesso sono chiari. Scarsità di uomini e di munizioni, difesa impressionante russa lungo il fronte in un sistema di linee parallele composto da trincee, campi minati, difese passive e un utilizzo di droni che sta rivoluzionando la guerra. Secondo testimonianze dirette, la vita di un soldato all’attacco, una volta avvistato dagli UAV, si aggira sui cinque/dieci minuti.
Con l’autunno incipiente e la stagione delle piogge che avanza, la posizione dell’Ucraina si fa critica. Il tempo è a favore dei russi, hanno da difendere le posizioni conquistate, possono permettersi di aspettare che il nemico si dissangui, oppure che si fermi, che si stanchi, che le opinioni pubbliche degli alleati occidentali di Kiev si stufino di una guerra per cui devono aprire il portafoglio in un momento di crisi economica. Tanto più che l’anno prossimo ci saranno nel mondo due importantissime scadenze elettorali, a giugno si vota per il parlamento europeo e a novembre ci saranno le elezioni presidenziali americane.
L’economia russa d’altronde non va male, l’esercito russo è riuscito ad organizzare una nuova ondata di volontari e non ha più avversari interni dopo il caso Prigozhin. Sul fronte economico, l’industria della difesa russa è un network di 2mila imprese che occupa più di 2 milioni di persone. A dispetto delle sanzioni, il suo export di armamenti è pari al 16% dell’export globale di armi e si dirige in primo luogo verso India, Cina, Algeria, Egitto e Vietnam. Anche sul piano dell’ammodernamento la Russia non è stata a guardare, ha impiegato per la prima volta il caccia Mig-31 che può essere dotato di missili ipersonici balistici, ha anche iniziato la produzione di massa di interi sistemi d’arma come i missili Tornado-S e S-500 Prometheus. Fatti che trovano riscontro nell’aumento per il prossimo anno del 50% per le spese della difesa.
Ma la guerra sul campo tra russi e ucraini non è l’unica guerra. Questo conflitto ha molte facce o, cambiando metafora, è come una matrioska russa con tutte le bambole chiuse l’una dentro l’altra. E in questo caso, il contenitore più grande è il conflitto che oppone gli Stati Uniti e i loro alleati alla Russia. Mentre la guerra sul campo ha tutte le caratteristiche di una guerra limitata, lo scontro tra le due potenze ha tutte le sembianze di una guerra ibrida, termine forse confuso ma che ha il pregio di illustrare la poliedricità della sfida che avviene in ogni ambito e con tutti gli strumenti a disposizione di un campo e dell’altro. Sanzioni economiche usate come armi, guerra per procura, disinformazione, propaganda, guerra elettronica, utilizzo di quinte colonne, ingerenze nelle elezioni altrui, e così via. Azioni spesso organizzate, ma spesso anche lanciate in modo autonomo da soggetti decentrati e non istituzionali. “Il problema pratico principale della guerra ibrida è che è estremamente difficile da controllare con mezzi diplomatici convenzionali” (documento russo, fonte impossibile da verificare).
In una situazione tanto complessa non solo la parola pace sembra una chimera, ma appare lontano perfino un semplice armistizio. Come al solito le previsioni sono bandite, il solo che le fa in Italia è Paolo Mieli sicuro della vittoria ucraina. Niente però può impedire errori militari o crolli del morale delle truppe o della pubblica opinione anche in Russia. Inoltre si può anche ammettere che riesca un’operazione militare di Kiev. Per ora la strategia scelta da Putin e dallo stato maggiore russo sembra privilegiare la rodata resistenza del popolo russo all’usura del tempo e sul campo la scelta di colpire a fondo i nodi strategici nelle retrovie ucraine, lanciando piccole controffensive sul campo e su più fronti. A Kiev, che non può compiere attacchi sul suolo di Mosca e si trova interdetta la guerra di manovra, rimane la carta della provocazione continua per innervosire il nemico e indurlo a fare un passo falso. Ecco le incursioni mordi e fuggi, gli attacchi con droni sul territorio russo, la ricerca di coinvolgimento maggiore della Nato, che peraltro qualche Paese come la Gran Bretagna sembra gradire.
In fondo la Prima guerra mondiale finì perché un sommergibile tedesco affondò il transatlantico Lusitania con millecinquecento passeggeri a bordo e così gli Stati Uniti mandarono in Europa un contingente di quasi un milione e mezzo di uomini. Forse qualcuno sogna che la storia si ripeta.
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