Siamo in guerra. La Nato, gli Stati Uniti, l’Europa sono in guerra. Non solo l’Ucraina sta combattendo contro la Russia. Anche noi, anche l’Italia, è in guerra contro Putin. Non importa se non impugna le armi. Quando durante la guerra del Vietnam i rifornimenti ai vietcong passavano dal famoso sentiero di Ho Chi Minh attraverso il Laos e la Cambogia, gli Stati Uniti non esitarono a sganciare qualcosa come 3 milioni di tonnellate di bombe.
La verità vera è che l’Europa si trova al centro di una catastrofe, ad uno stravolgimento epocale che richiede scelte drammatiche, che non consente più infingimenti e commedie.
Se la realtà è questa, bisogna trarre due conclusioni. La prima. Bisogna che il nostro governo dica la verità agli italiani. Dica che il nostro Paese è entrato in guerra, che stiamo combattendo. Il Presidente della Repubblica, capo supremo delle forze armate italiane, deve dire questa verità alla nazione.
Non possiamo fare come sempre abbiamo fatto, nascondere gli interventi militari dietro la bandiera della pace, a partire dalla missione in Libano nel lontano 1982. Somalia 1992, Prima guerra del Golfo 1991, interventi in ex Jugoslavia, Seconda guerra del Golfo, Afghanistan fino a pochi mesi fa. Basta con le ipocrisie che non servono nemmeno a difendere in modo adeguato i nostri soldati togliendo loro la copertura del diritto di guerra.
Il secondo passaggio, quello più importante. Quando un paese entra in guerra, deve sapere bene quali siano i motivi, quali gli obiettivi politici e gli strumenti militari per raggiungere quei fini. In una parola, è necessario avere bene in mente quali siano gli elementi che costituiranno la futura pace alla fine del conflitto. Non esiste la pace assoluta, vi sono o le guerre totali che finiscono con la resa incondizionata, o le guerre limitate, come speriamo quella in corso, con molteplici condizioni. Clausewitz ha ancora ragione. La guerra è solo una politica con le armi. Ma con due corollari. La guerra è un camaleonte, ogni guerra cioè è sempre diversa dall’altra, non solo, cambia forma e modalità in corso d’opera. Nessuna guerra finisce come era cominciata, perché è una relazione come un duello ma tra attori che non combattono né con le stesse armi né per gli stessi motivi.
Ucraina, Stati Uniti, Nato e quindi Italia, devono sapere bene non solo perché stanno combattendo ma quali sono gli obiettivi che vogliono raggiungere. La sconfitta militare totale della Russia? Un cambio di regime a Mosca? Il ritorno alla situazione precedente l’aggressione? La neutralità dell’Ucraina? La sua adesione all’Unione Europea ma non alla Nato?
Non basta. È necessario essere consapevoli, sono costretto a ripetermi, che l’aggressione russa all’Ucraina è un round di uno scontro per costruire un nuovo ordine mondiale, non solo regionale. È “la guerra mondiale a pezzi” di papa Francesco. In gioco vi sono gli equilibri tra Europa e Russia, tra Unione Europea e Stati Uniti, tra Occidente e Mosca. Ma cambiare i rapporti di forza vuol dire immediatamente spostare pesi e contrappesi a oriente, e coinvolgere nel grande gioco il convitato di pietra, il gigante non più addormentato, il protagonista di questo secolo, la Cina, e a cascata il resto del mondo a partire dall’India. A riprova della posta in gioco, il riarmo della Germania, l’addio alla neutralità di Finlandia e Svezia, lo spostamento ad est della Nato, gli accordi militari di questi giorni tra Giappone e Filippine, la guerra economica per l’accaparramento delle materie prime.
D’altronde, per capire la portata dello scontro, basta leggere con attenzione anche distratta le due votazioni avvenute alle Nazioni Unite riguardo alla Russia. Nella prima per la condanna dell’aggressione, cinque nazioni contrarie e ben 35 astensioni tra cui Cina ed India. Nella seconda votazione per sospendere la Russia dal Consiglio per i diritti umani hanno votato contro 24 Stati e si contano ben 58 astenuti tra cui India, Brasile, Sudafrica, Messico, Egitto, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Giordania, Qatar, Kuwait, Iraq, Pakistan, Singapore, Thailandia, Malesia, Indonesia e Cambogia. Ma il calcolo diventa più interessante se si sommano gli abitanti dei due schieramenti, ad esempio nella prima votazione si ha che il 55,5 per cento della popolazione mondiale o ha votato contro o si è astenuta.
In gioco non è la questione ucraina, né un equilibrio regionale. Non siamo davanti ad una guerra in Afghanistan o in Iraq. Adesso ad essere in discussione sono i criteri e la gestione della sicurezza collettiva del pianeta, gli equilibri di potenza, questioni strategiche che si intrecciano con la geoeconomia.
È dunque doveroso che le istituzioni parlino in modo franco al Paese e spieghino in modo chiaro gli obiettivi della nostra partecipazione al conflitto. Ed è necessario che in generale tutta la classe politica metta al centro le tre questioni fondamentali. Prima di tutto, affinché tacciano le armi, stabilire che pace si possa costruire in Ucraina. In secondo luogo, definire quali rapporti la Nato voglia con la Russia. In terzo luogo, l’Unione Europea deve chiarirsi le idee a proposito dei rapporti tra questioni di sicurezza europee e atlantiche. Tutti passi necessari per costruire un nuovo ordine mondiale a più voci.
Vasto programma, si dirà, ma sarebbe sufficiente che in Italia si dicesse la verità sullo stato di guerra e si aprisse una discussione degna della gravità del momento sulle condizioni di tregua e poi di pace tra Ucraina e Russia, avendo la consapevolezza del contesto. Già molto per un Paese ormai, da più di trent’anni, non più abituato a concepire una politica estera autonoma.
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