Il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov che rilancia la possibilità di un negoziato, l’Occidente non raccoglie perché pensa che la guerra possa finire solo con la sconfitta di Putin. La determinazione di entrambe le parti a uscire totalmente vincitrici dal conflitto in Ucraina porta, però, direttamente allo scontro nucleare, passando anche attraverso l’impiego di truppe occidentali. Uno scenario apocalittico che, però, non è così illogico, spiega Marco Bertolini, generale già comandante del COI e della Brigata Folgore in diversi teatri operativi, dall’Afghanistan al Kosovo, soprattutto se l’Ucraina introduce una legge che vieta di trattare con i russi e se la UE non prende in considerazione altra soluzione che la resa del nemico e la restituzione dei territori. Così si va al muro contro muro, quantomeno alla realizzazione di una nuova cortina di ferro. L’Europa resta prigioniera di un conflitto voluto dai democratici americani, che non volevano dare troppo spazio a Mosca e puntavano a impedire all’Europa di avvantaggiarsi beneficiando delle risorse energetiche della Russia e del suo mercato.
Lavrov ribadisce la disponibilità della Russia a trattare, anche se la guerra continua e Mosca vuole acquisire altri territori. Perché l’Occidente non si decide perlomeno a verificare in cosa consiste questa disponibilità?
Sarebbe possibile se si riconoscesse l’avversario come un interlocutore con il quale si può parlare. Ma si è creato un sistema nel quale parlare con l’interlocutore pare sia diventato impossibile. In questo contesto è difficile arrivare al dialogo: non per niente Zelensky ha fatto una legge che vieta di trattare con la Russia.
Lo stesso Lavrov ha detto anche che i russi sono pronti a trattare ma non con Zelensky.
Credo che stiano ripagando Zelensky con la stessa moneta. Mosca sta puntando ad affermare che il vero nemico non è l’Ucraina ma gli USA. Ultimamente, comunque, si pronunciano solo parole di guerra e gli spazi di un negoziato si riducono. La Russia allora, con Lavrov, ha deciso di avanzare una proposta, in linea con quello che sono sempre state le sue richieste: avere la titolarità della Crimea, la sovranità sulle due repubbliche filorusse e creare una buffer zone che metta le città di Donetsk e Lugansk al sicuro da attacchi. Putin non è la prima volta che dice di essere pronto a negoziare, anche se salvaguardando i suoi interessi irrinunciabili.
Le armi che arriveranno agli ucraini dopo la decisione del Congresso USA cosa potranno cambiare nella guerra?
Certamente daranno un aiuto importante. Sugli aiuti risolutivi che avrebbero dovuto far vincere gli ucraini contro la Russia, comunque, ho dei dubbi: di risolutivo c’è l’uomo e quello che manca all’Ucraina è il potenziale umano e la motivazione per portare gli uomini a combattere. La società ucraina credo ne abbia abbastanza di guerra, mobilitazione e morti. Una parte di questi aiuti, poi, andranno a ristorare i vuoti che si sono creati nelle disponibilità statunitensi. Per essere risolutivo questo intervento dovrebbe essere più o meno immediato, perché è adesso che la Russia è in rapida avanzata, a ovest di Bakhmut verso Chasiv Yar e a ovest di Avdiivka: c’è una spinta a creare una zona sotto controllo russo che metta al riparo soprattutto Donetsk.
Se quello che conta sono gli uomini, ha ragione Orbán, secondo il quale sarebbe imminente il coinvolgimento di truppe occidentali nel conflitto già prefigurato da Macron?
L’Europa sta per essere lasciata con il cerino acceso in mano. Gli USA con la campagna elettorale in corso dovranno per forza di cose rivedere il loro livello di partecipazione a questa situazione. Non so se l’Europa sia pronta a occuparsene, certamente non da sola. In Ucraina si scontrano centinaia di migliaia di uomini e noi tanti combattenti non li abbiamo, non abbiamo neanche le armi, le munizioni e la componente corazzata. Potrebbe esserci un intervento di specialisti, per gestire attrezzature impegnative da un punto di vista tecnologico.
Ma perché l’Europa dovrebbe coinvolgersi così tanto?
Ha impegnato tutto se stessa nell’abbracciare le grida di guerra che arrivavano da oltre Atlantico e da oltre Manica, ribadendo la necessità che la Russia debba essere sconfitta. Su questa linea è difficile che arrivino proposte di pace. L’invio di truppe potrebbe essere una mossa disperata, però Macron l’ha ventilata, la Polonia in passato è stata molto esplicita da questo punto di vista e anche le repubbliche baltiche hanno dato la loro disponibilità: sarebbe un intervento prodromico a quello americano. Un’Europa guidata da governanti poco oculati potrebbe cadere in questa trappola. Speriamo che l’appuntamento elettorale che interesserà anche l’UE porti a una maggiore prudenza.
L’intervento di truppe occidentali ci avvicinerebbe a uno scenario di guerra nucleare?
Non c’è ombra di dubbio. Se l’Europa entrasse direttamente nel conflitto, di fronte al pericolo di essere sconfitti varrebbe l’uso di qualsiasi arma. Questo vale anche per la Russia. Fra la vittoria e la sconfitta, tuttavia, ci sono delle sfumature di grigio che dovrebbero essere considerate. Non c’è solo la resa senza condizioni. Altrimenti non si arriva da nessuna parte.
Il presidente della Polonia ha appena dichiarato che è disponibile ad accogliere armi nucleari sul suo territorio. Qualche piano in vista di un’eventuale escalation lo stanno già facendo?
Certo. Si sta militarizzando una linea di confine che richiama la cortina di ferro: allora però si parlava di guerra fredda, ora di una guerra calda. Siamo messi peggio adesso di 60 anni fa. Siamo in una situazione di estremo pericolo.
La NATO sta costruendo in Romania, nella zona della città portuale di Costanza, la sua più grande base. Che ne pensa?
Si immagina una contrapposizione con la Russia di lunga durata. I più ottimisti parlano di una guerra NATO-Russia entro venti o trent’anni. Il motivo lascia interdetti: stiamo parlando di una contesa che riguarda due province ucraine e che “stranamente” ha portato a questa situazione. Si voleva uno scontro.
Perché sarebbe stato programmato questo scontro?
Il post-guerra fredda lasciava troppo spazio alla Russia e metteva l’Europa in contatto con questo enorme distributore di risorse ed enorme mercato che poteva fare dell’Europa stessa una potenza quasi incontrastata. E allora si è risolto il problema militarmente innescando una guerra nella quale gli americani ci vogliono tenere. Anzi, i democratici americani, che fanno riferimento alla cordata Obama-Clinton (e adesso Biden) con qualche aiuto dai repubblicani, sono intrisi del convincimento di essere portatori di una missione globale: di convertire il mondo al loro modello, dividendolo in due categorie, le democrazie e le dittature.
(Paolo Rossetti)
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