Un tavolo di pace in Svizzera a gennaio. La voce che finalmente ci sia uno spiraglio per mettere fine ai combattimenti in Ucraina per ora rimane una speranza a cui mancano ancora riscontri concreti. Alla trattativa, però, l’Ucraina ci dovrebbe arrivare forte di nuovi fondi stanziati dal Congresso americano per continuare a supportare Kiev nella guerra contro la Russia. Il problema è la resistenza dei repubblicani, per vincere la quale si è mosso lo stesso Zelensky, volato a Washington per perorare la causa di un Paese apparentemente in difficoltà sul campo di battaglia e dichiaratamente senza risorse sufficienti per proseguire i combattimenti nei prossimi mesi.
In vista delle presidenziali Usa 2024, ai repubblicani non pare vero di tenere sulla graticola Joe Biden costringendolo a trattare una stretta sull’immigrazione dal Messico in cambio, appunto, di altri soldi per gli ucraini. E la prospettiva per l’Ucraina, se dovesse vincere Trump o qualcun altro esponente del suo partito, è ancora peggiore: tra gli avversari dei democratici non c’è grande voglia di sostenere ancora una guerra combattuta per procura contro la Russia.
In questa situazione, spiega Giuseppe Morabito, generale dell’esercito,fondatore dell’Igsda e membro del Collegio dei direttori della Nato Defense College Foundation, perde prestigio anche la figura di Zelensky che paga purtroppo dazio per la controffensiva fallita, per i proclami che annunciavano una vittoria sicura dopo gli ingenti aiuti ricevuti in precedenza e ora per la controversa scelta della partecipazione, in un momento così grave per il suo Paese, all’insediamento del presidente Milei in Argentina.
Zelensky è volato in America per chiedere di sostenere la guerra contro la Russia. Stavolta però, a differenza dell’anno scorso, la sua visita è stata in tono dimesso. Al di là delle dichiarazioni di Biden, gli Usa, anche per le scelte dei repubblicani, non sono più un alleato così sicuro?
La realtà dei fatti è che la controffensiva è fallita in modo quasi totale, non ha raggiunto nessuno dei risultati che si era prefissata. Per sostenere lo sforzo anche in inverno le forze armate ucraine hanno bisogno di armi e di migliore tecnologia dagli Usa o dagli altri alleati occidentali. Il principale referente e fornitore è l’amministrazione Biden, che però ha problemi interni e non riesce a far approvare gli aiuti, anche se li ha legati a quelli per Taiwan e Israele. E per farli “passare” i repubblicani chiedono di frenare i migranti illegali che arrivano dal Messico.
Stando così le cose, la verità è che, al di là di Biden, c’è una metà del Congresso americano ch ha altre priorità rispetto all’Ucraina e il primo problema è l’immigrazione. L’interesse per quella guerra non c’è più?
L’Ucraina non ha più la priorità su altri temi. L’ha avuta sicuramente all’inizio del conflitto, quando c’è stata l’aggressione dei russi, ma oggi non appare più così. A meno di un anno dalle elezioni, minare i risultati della politica estera di Biden può favorire i repubblicani nelle urne e la situazione al confine messicano, che appare critica, rimane una leva importante per l’opposizione alla Casa Bianca.
È un calcolo politico?
È assolutamente un calcolo politico, per ottenere qualcosa sul fronte del Messico e indebolire Biden. Non si discute della necessità di contenere la Russia, ma del modo in cui si porta avanti tale politica.
Per Zelensky il problema non è solo avere i fondi ora. Se i repubblicani dovessero vincere le presidenziali con Trump, per quello che sappiamo la guerra con la Russia finirebbe subito: gli Usa probabilmente non sosterrebbero più Kiev. Anche questo preoccupa il presidente ucraino?
La politica dei repubblicani fa pensare a un’America che pensi più a sé stessa, ai suoi problemi interni, e solo dopo ad essere una potenza egemone a livello mondiale. Poi bisognerà vedere cosa succederà a elezioni completate. Nulla va dato per certo. Per ora siamo all’America first dei repubblicani.
Alla fine Biden cercherà di ottenere comunque questi fondi? Secondo qualche analista potrebbe far arrivare comunque gli aiuti attingendoli da un altro capitolo di spesa.
Per adesso avrebbe concesso 200 milioni di dollari, una goccia nel mare, ma comunque soldi, che poteva corrispondere senza passare dall’approvazione del Congresso. Inoltre ha firmato un documento per cui Usa e Ucraina possono produrre armamenti insieme, anche se non ne sono ancora noti i dettagli. Nei sondaggi, al momento, è perdente, deve poter vantare qualche risultato nella sua opera di governo da presentare agli elettori.
Dovrà cedere alle richieste dei repubblicani?
Un “do ut des” deve esserci per forza: se i repubblicani non cedono, deve farlo lui, perché ha bisogno di portare a casa qualcosa di positivo per Kiev. Non può passare agli elettori il messaggio per cui sarebbe il presidente perdente che non è riuscito a supportare fino in fondo l’Ucraina. Anche la sua teoria secondo la quale la Russia, una volta vinto in Ucraina, attaccherebbe un Paese Nato, è tutta da dimostrare, ma serve a mettere pressione ai repubblicani.
Sta di fatto che l’Ucraina, se il Congresso dice no a nuovi fondi, non ha molte speranze di poter contrastare la Russia: significherebbe sconfitta sicura?
L’Ucraina è già in crisi e i fondi dovrebbero servire per resistere: il conflitto ormai ha preso una piega a favore di Mosca. I soldi e la conseguente disponibilità di armi e tecnologie richieste servirebbero a mantenere le posizioni e a non cedere.
Americani e ucraini starebbero contrattando anche un cambio di strategia dopo la controffensiva fallita. Ma mentre gli Usa spingono per una tattica conservativa, Kiev vorrebbe ancora riconquistare territori: realisticamente è possibile?
Oltre alle armi per attaccare servono gli uomini. Bisogna vedere se ci sono disponibili ulteriori risorse umane. L’età media dei combattenti ucraini sale ogni giorno. Poi bisogna tenere conto che ci sono voci secondo le quali Biden e Zelensky avrebbero preso in considerazione l’ipotesi di tenere dei colloqui di pace con i russi in Svizzera a gennaio.
In quel caso il Congresso potrebbe anche soprassedere sugli aiuti?
Non è così. Una cosa è sedersi al tavolo della pace in una posizione d’inferiorità, altra farlo forti di un supporto militare da parte dell’Occidente che permetterebbe di proseguire il conflitto. Andare a trattare senza fondi e sostegno economico-militare vuol dire andarci da sconfitto. Il supporto politico-diplomatico è fuori discussione e ci sarà.
Zelensky, acclamato l’anno scorso, quest’anno è arrivato a Washington con toni molto più dimessi. In quest’anno ha comunque perso molta dell’autorevolezza che si era guadagnato spronando la sua gente a opporsi ai russi?
Tutte le promesse e gli annunci che aveva fatto sulla controffensiva e sulla resistenza sono, purtroppo, caduti nel vuoto. Fa discutere anche il fatto che si sia recato in Argentina all’insediamento di Milei senza una logica: non è un Paese dal quale può ricevere aiuti. Dà l’idea di una persona che non è centrata. Comincia a essere stanco, anche la moglie ha detto che non vuole una sua ricandidatura.
Intanto sul campo di battaglia i russi sembrano che stiano prendendo sempre più piede nella zona di Kharkiv e di Donetsk. È così?
I report dicono che in questo momento l’Ucraina non riesce a reggere l’urto e sta perdendo terreno. L’artiglieria russa blocca le iniziative ucraine. E l’artiglieria in guerre di posizione come questa ha un ruolo importante, soprattutto ora che viviamo la stasi invernale. Mosca avrebbe disponibilità di munizioni, mentre quelle di Kiev scarseggiano.
La Russia ha ripreso ad attaccare anche nella capitale: perché?
Nei conflitti si cerca di sfruttare il momento favorevole. Se i russi vedono che non è un momento favorevole per l’Ucraina cercano di approfittarne. Le condizioni meteo, la mancanza di risultati sul terreno, la stanchezza morale dopo quasi due anni di conflitto giocano a favore di Mosca.
(Paolo Rossetti)
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