L’inviato speciale cinese Li Hui è a Kiev e potrebbe avere già incontrato Zelensky. “Il piano di pace cinese è la proposta più seria attualmente in campo”, secondo il generale Marco Bertolini, già comandante del Coi e della Brigata Folgore in numerosi teatri operativi, tra cui Somalia, Kosovo e Afghanistan. Tutto questo avviene mentre in un’Europa stravolta si ridefiniscono i rapporti di forza e l’unipolarismo americano sembra entrare in una crisi senza ritorno. “Ed è questo a doverci preoccupare”.
Ma partiamo dall’Europa. “Siamo arrivati ad un punto che era prevedibile – osserva Bertolini –, la frantumazione della compagine europea, nonostante gli aiuti e le professioni di fedeltà alla causa ucraina”.
Dove ravvisa questa divisione?
La Russia è stata definitivamente separata dall’Europa e dalla sua potenza economica egemone, la Germania, con l’attacco al Nord Stream 2. In simbiosi con la Russia, la Germania poteva diventare superpotenza tout court. In più è stato ridotto al minimo ogni altro approvvigionamento europeo. Si tratta di due obiettivi importanti conseguiti dagli americani.
Oggi la Germania ha adottato una postura attiva: supporto economico, fornitura di mezzi pesanti, addestramento militare. Cosa è cambiato a Berlino?
Disorientata dal conflitto, ha cambiato registro, tentando di riguadagnare posizioni nella considerazione degli americani, ma ormai è tardi.
In che senso?
Il vuoto di Berlino è stato ormai occupato da Varsavia e dagli Stati baltici. La vecchia Europa orientale, fino all’89 vittima dell’ex Urss, salvo l’Ungheria oggi è schierata con Varsavia nella corsa contro la Russia. La Polonia è l’hortator che impone la voga di battaglia. Con il supporto, non bisogna dimenticarlo, della Gran Bretagna e in più la partecipazione non attiva ma interessata dei Paesi scandinavi.
Quindi?
L’Europa come la conoscevamo prima della guerra non c’è più. Per farla esistere non basta dare a Zelensky il premio Carlo Magno. La stessa Ue non è mai stata così divisa. Oggi è Varsavia ad avere il filo diretto con la Nato.
L’Italia?
Siamo a rimorchio. Resto convinto che il nostro problema principale continua a riguardare il fronte Sud, non quello Est.
Conferma quello che ci aveva già detto sulla proiezione verso Est di Varsavia?
Tra Duda e Zelensky c’è un rapporto strategico anti-russo che lo scontro sul grano non ha intaccato. La Polonia ha una partecipazione attiva nel conflitto con tanti uomini, mezzi e armamenti a supporto di Kiev. Naturalmente sarebbe eccessivo dire che Varsavia ha l’ambizione di includere nel suo territorio parte dell’Ucraina occidentale come era fino al 1939; ritengo però che voglia esercitare la sua influenza in quella direzione.
Secondo il giornalista americano Seymour Hersh la Polonia, insieme ad altri Paesi Ue, starebbe facendo pressioni su Zelensky perché arrivi ad un compromesso. È possibile?
Non lo credo, ma se fosse, sarei contento di avere torto. Il punto vero, a mio avviso, è che tutto quello che sta succedendo sotto il profilo politico è mosso da quello che avviene sul campo.
Ma è sul campo che la situazione appare sempre meno intelligibile. Secondo lei come stanno le cose?
La controffensiva ucraina, che sarebbe stranamente partita proprio quando Zelensky era in Europa, non è riuscita per ora a fare altro che rintuzzare appena i salienti russi che circondano Bakhmut. Prigozhin sembrava essere al centro di rivelazioni dirompenti per la coesione russa, in realtà proprio in quei momenti la Wagner ha accelerato, penetrando in quella specie di quartiere a forma di trapezio chiamato cittadella e in queste ore lo sta occupando completamente. A quel punto la tragedia di Bakhmut sarà conclusa.
Con quali effetti?
Zelensky ha voluto fare di Bakhmut un simbolo e se la città cadesse sarebbe un duro colpo per lui.
Vuole dire che la volontà di insistere così tanto è stata innanzitutto una scelta simbolico-politica prima che strategica?
Sicuramente. Il comandante in capo delle forze ucraine, Zalužnyj, e quello delle forze terrestri, Syrskyj, avevano suggerito da parecchio tempo un ritiro da Bakhmut perché le perdite erano altissime, ma Zelensky ha voluto continuare. Va detto che la situazione è difficile anche per Mosca, lo dicono le vittime lasciate sul campo e la cronaca di guerra, vedi il recente abbattimento di elicotteri e caccia russi. ciononostante la situazione è favorevole alle forze russe.
Ieri l’inviato speciale cinese Li Hui è arrivato a Kiev e probabilmente ha visto Zelensky. Si può essere ottimisti?
Secondo me il piano di pace cinese è la proposta più seria attualmente in campo. Sta camminando lentamente, ma procede. Bocciata subito, pregiudizialmente, da Biden, poi da Putin, infine da Zelensky, adesso se ne discute.
Come ha fatto a rimanere sul tavolo?
Contiene affermazioni sulla sovranità in linea con gli interessi dell’Ucraina. La proposta di Pechino sembra giovarsi di una lenta evoluzione che potrebbe portare la Cina non ad avvicinarsi all’Occidente, ma a perdere il pregiudizio di essere apertamente pro Russia.
Settimana prossima Mosca e Kiev riceveranno una delegazione di Paesi africani che si sono offerti di mediare. Ci sono chances?
Il no di Zelensky alla mediazione del Papa mi fa dubitare che quella delegazione possa riuscire dove sono state chiuse le porte al Vaticano.
C’è una guerra economica accanto a quella militare. Che cosa può riservarci?
È una domanda da porsi, perché siamo troppo concentrati sul teatro operativo rischiando di perdere di vista gli altri piani. E sono molti. Non soltanto quello riguardante gli aiuti americani.
Secondo Politico restano solo 6 miliardi di dollari dei 48 contenuti nel pacchetto di aiuti approvati a dicembre 2022. Finiranno presto.
Un sostegno incondizionato all’Ucraina, per essere tale, richiederebbe risorse finanziarie di gran lunga superiori a quelle destinate finora, mentre le risorse militari si sono presto rivelate limitate. Ma non c’è solo questo. I Brics che vogliono sfidare il dollaro, il ballottaggio in Turchia, la trattativa Iran-Siria, il ritorno della Siria nella Lega araba, il riavvicinamento tra Teheran e Riad promosso dalla Cina, quello tra Turchia e Siria favorito da Mosca sono tessere di un mosaico che sta prendendo forma rapidamente.
Siamo in grado di anticipare il disegno finale?
Ancora no, ma senza dubbio è un quadro che ci parla di un unipolarismo americano sempre più in crisi. Ed è per questo, a mio avviso, che rischiamo di arrivare ad un punto molto pericoloso. L’unipolarismo come tale è solo americano, perché la globalizzazione è stata l’esportazione in tutto il globo del modello Usa. Nel momento in cui questo primato fosse sostituito in modo irreversibile da un nuovo effettivo multipolarismo, comunque lo si pensi, per l’America sarebbe una sconfitta strategica.
In concreto che cosa significa?
Vuol dire che gli Stati Uniti vedono avvicinarsi una linea rossa oltre la quale non potrebbero accettare di fare un passo indietro. Lo stesso vale, dal punto di vista tattico, per la Russia in Ucraina.
Qual sarebbe la linea rossa?
Per la Russia la perdita del Mar Nero, del Mediterraneo e dei rapporti con i Paesi europei. Checché se ne dica, il contatto con l’Europa rimane sempre un suo interesse. In questo quadro, guai se le due parti in conflitto, Stati Uniti e Russia, dovessero trovarsi con le spalle al muro. Per motivi militari, politici o economici.
Che cos’è che potrebbe imprimere una vera svolta?
Potremmo dover aspettare le elezioni americane.
(Federico Ferraù)
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