L’ultimo contatto è stato tra il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov e il collega svizzero Ignazio Cassis. Avrebbero parlato di un possibile summit di pace sulla scorta degli incontri voluti da Zelensky proprio in Svizzera nel giugno scorso. Appuntamenti dai quali la Russia era stata esclusa, anche se ora il presidente ucraino mostra disponibilità a invitarla.
Della possibilità di una trattativa di pace, spiega Stefano Caprio, sacerdote cattolico di rito bizantino, in Russia dal 1989 al 2002, teologo ed esperto del mondo russo, ormai si parla abbastanza apertamente: i due Paesi in guerra sono stanchi, a livello internazionale la situazione politica sta cambiando e questo induce a pensare che almeno si prenda in considerazione l’eventualità di un negoziato. Realisticamente, però, non ci si può aspettare altro che un armistizio, un congelamento della situazione tipo Guerra fredda o due Coree: le ragioni del conflitto molto difficilmente verranno risolte, rimarrebbero intatte, ma almeno non si sparerebbe più. Una situazione non definita che alla Russia servirebbe almeno per procrastinare l’ingresso di Kiev nella NATO.
Lavrov ha parlato con il ministro degli Esteri svizzero della Conferenza di pace organizzata a giugno con Zelensky. Orbán gira le capitali promuovendo la necessità di una trattativa. Quanto è concreta la prospettiva di un negoziato?
Quello a cui assistiamo è uno sviluppo in parte prevedibile, per diverse ragioni. La prima è militare: da marzo a maggio la Russia ha attaccato fino a che ha potuto perché era in vantaggio dal punto di vista militare, ma quando l’Ucraina ha cominciato a ricevere rifornimenti ha creato diversi problemi in Crimea e nella regione di Belgorod. Poi c’è il fattore atmosferico, c’è un caldo mostruoso, con oltre 30 gradi. Il presidente bielorusso Lukashenko ha detto che non si può fare la guerra con una temperatura simile. Infine, ci sono ragioni politiche: sono passate le elezioni UE, inglesi e francesi, la Russia sperava in una grande vittoria dei suoi alleati, che hanno avuto qualche successo, anche se alla fine la posizione europea sull’Ucraina resta ancora quella.
Tutto questo cosa comporta?
Sia l’Ucraina che la Russia cercano di sfruttare la nuova situazione tentando di definire le cose prima di arrivare, a novembre, alle elezioni americane. Putin tifa per Trump, ma non ha la certezza che una volta eletto il presidente americano farà qualcosa per accontentarlo. Probabile, quindi, che si cerchi di trovare un punto di incontro. Certo, rimane in sospeso la questione territoriale: gli ucraini non vogliono cedere territori, la Russia vuole tenersi quello che ha conquistato. In tutto questo gli ucraini attaccano nella regione di Belgorod, mentre i russi in Crimea continuano a mandare forzatamente i turisti anche sulle spiagge dove cadono le bombe: insomma, ci sono ancora molte questioni da chiarire.
Ci sono anche pressioni interne ai due Paesi perché il conflitto si concluda?
Gli ucraini sono molto stanchi e provati, se vogliono andare avanti dovranno mettere sul campo i ragazzini, non c’è alternativa. I russi devono frenare l’economia, che ha bisogno di ritrovare un equilibrio per mantenere la produzione industriale militare. Sta convertendo tutta l’economia alla guerra, ma questo comporta un momento di incertezza: nel frattempo la Banca centrale sta cercando di contenere l’inflazione, che però cresce, e ci sarà la riforma fiscale. È giunto il momento di fermarsi un attimo. Anche per questo può darsi che si proverà a intavolare trattative.
Realisticamente a cosa si può puntare?
Ci può essere solo un armistizio, non di più, un congelamento della guerra di modo che non ci siano altre stragi. La Russia ha provato a spaventare con attacchi come quello dell’ospedale pediatrico di Kiev, ma sa che non può andare avanti così. L’Ucraina non ha la forza per riprendersi i territori. E allora può darsi che si parlino. La Russia punta a un conflitto permanente, a una guerra fredda.
Una situazione non definita potrebbe servirle anche per evitare che l’Ucraina entri nella NATO?
Sì. La NATO ha detto che l’Ucraina entrerà, ma se cominciano le trattative la questione verrà rimandata alle calende greche. Uno degli scopi dei russi è di evitare l’ingresso di Kiev nell’Alleanza Atlantica e anche per questo si potrebbe tirare più in lungo possibile. Per escludere del tutto che l’Ucraina aderisca, la Russia dovrebbe restituire almeno una parte dei territori occupati, ma non lo farà mai. Può però trattare su territori demilitarizzati tra Belgorod e Kharkiv, stile due Coree, trascinando poi la situazione di conflittualità all’infinito.
Un’eventuale trattativa attraverso quali strade potrebbe passare? La Conferenza di pace svizzera, Erdogan come mediatore?
Difficile prevederlo, ci sono varianti di ogni genere: svizzera, turca, cinese. Potrebbe uscire anche qualche sorpresa: certo, se si muove la Cina cambia molto.
L’abboccamento di Lavrov con gli svizzeri significa qualcosa?
Lavrov non è uno che fa proposte chiare. Anzi, di solito bisogna pensare il contrario di quello che dice: è la riproposizione del Gromyko dei tempi sovietici, quando dice sì vuol dire no e viceversa. Non è affidabile. Per una trattativa è più probabile che si trovino, faccio per dire, in India, in Australia, in Brasile, coinvolgendo qualcuno che finora non è stato protagonista della vicenda. L’India è molto amica della Russia e ha buoni rapporti con tutti.
Il negoziato resta comunque ancora lontano?
Lo vedo possibile entro quest’anno. Al di là dell’armistizio, tuttavia, una soluzione definitiva è sicuramente molto lontana.
(Paolo Rossetti)
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